giovedì 20 novembre 2008

La Lega è sempre più al Nord il partito di chi lavora

Sempre dai giornali di ieri riprendo l’articolo che segue, pubblicato su “La Repubblica”, titolo: “Ma il segretario regionale boccia l’iniziativa: “Nessuno stop, va regolato il lavoro nero”. Treviso, l’imam con la Cgil “Giusto bloccare i flussi”. Il testo è dell’inviato a Treviso Carlo Brambilla. Già in un post precedente ho ricordato la vicenda. L’articolo è utile perché da indicazioni succinte delle varie posizioni e così si scopre, ad esempio in ambito sindacale, che più ci si alza di livello meno si comprendono i problemi reali dei lavoratori, immigrati compresi. Si fanno solo battaglie politiche perché è solo quello che si sa fare o perché si mira come tanti altri noti a fare una carriera politica che paga di più. Mal che vada in politica, si finisce ad essere funzionario di qualche ministero o ente pubblico, come la storia della sinistra sindacale insegna.

Fermo in mezzo alla strada, all’uscita della Fonderia del Montello di Montebelluna, lungo la strada per Treviso, Assan Hainine, 42 anni, operaio, originario di Casablanca, cittadino italiano da 18 anni, sposato con 4 figli, tessera della Cgil in tasca, lo dice senza tanti giri di parole: «Sono d’accordo al mille per mille con la proposta di sospendere il flusso degli immigrati. Siamo in troppi senza lavoro. Quando vado a pregare il venerdì, a Treviso, su cento persone che incontro più di 60 sono disoccupati. È assurdo fare arrivare altri stranieri in questo momento di crisi. Troviamo prima lavoro a chi è già qui e non ce l’ha. La settimana scorsa noi, regolarmente assunti, abbiamo dovuto restare a casa, perché non serviamo più. E molte aziende stanno cominciando a licenziare. Il virus della disoccupazione e della clandestinità, lo sappiamo, colpirà per primo gli stranieri precari».
Una forte spinta che viene dal basso quella raccolta dal segretario della Cgil di Treviso, Paolino Barbiero, che ha scatenato un putiferio di polemiche sindacali, quando ha chiesto, come il ministro dell’Interno Roberto Maroni, una moratoria dei flussi di immigrati. «Io ho detto stop agli immigrati - spiega Barbiero - in un’ottica di attenzione a quelle famiglie di stranieri, già presenti sul territorio, con i figli che vanno a scuola e che rischiano di essere espulsi per disoccupazione. Perché non serve fare arrivare nuove persone in questo momento di crisi, ma ragionare su quelle già qui. Mentre stiamo registrando una impennata nei licenziamenti».
Una posizione che non piace per nulla a Emilio Viafora, segretario generale della Cgil del Veneto, impegnato per una sospensione della legge Bossi-Fini, la cui applicazione, in tempi di recessione, può produrre effetti devastanti: «Altro che blocco dei flussi. Il problema è regolarizzare i lavoratori immigrati che lavorano in nero. Consentire ai lavoratori regolari che perdono il lavoro di avere accesso agli ammortizzatori sociali e un permesso di soggiorno di 2 anni che eviti l’espulsione. Riformare il meccanismo dei flussi rendendolo più aderente alle necessità del mercato del lavoro, in modo da governare l’immigrazione regolare e ridurre quella irregolare».
Mentre crescono, tanto per cambiare, le divisioni sindacali. I segretari provinciali di Treviso di Cisl e Uil, Franco Lorenzon e Antonio Confortin giudicano sbagliato il metodo usato in città dalla Cgil: «Barbiero ha posto un problema reale. Ma un tema così delicato non può essere liquidato con semplificazioni dettate da probabili esigenze di visibilità mediatica». E non piace neanche a Unindustria Treviso l’idea di bloccare i flussi. Come spiega il suo presidente, Alessandro Vardanega: «Una chiusura totale può danneggiare le imprese. Perché non consentire, invece, assunzioni di quel personale qualificato di cui c’è bisogno? Attraverso forme di autoregolamentazione»? Se la ride, intanto, il sindaco leghista di Treviso, Gian Paolo Gobbo, per questa «profonda riflessione elaborata dalla Cgil cittadina: noi ci eravamo arrivati da qualche anno. Gli immigrati, molti dei quali votano per la Lega, sono i primi a dover sopportare la crisi. Perché non avendo specializzazioni saranno i primi ad essere messi in mobilità. La verità è che non possiamo risolvere a casa nostra i problemi del Terzo Mondo. Dobbiamo risolverli a casa loro».
Sembra pensarla nello stesso modo perfino uno degli imam della comunità islamica, Joussef Tadil, che dichiara: «Per coprire il fabbisogno di posti di lavoro delle aziende trevigiane gli immigrati che già vivono qui sono sufficienti. Inutile farne entrare altri».

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