Fausto Carioti, oggi su “Libero”, evidenzia un aspetto delle elezioni americane che testimonia la reale democrazia che caratterizza quella federazione di stati. Su tali aspetti qui da noi siamo lontani anni luce, non per “inciviltà”, ma per doppiezza politica d’una parte.
Oggi, martedì 4 novembre 2008, a poche ore dal voto per la presidenza degli Stati Uniti, 59 milioni di italiani, bambini inclusi, sanno che il candidato democratico, Barack Obama, è accreditato di un vantaggio tra i 7 e gli 11 punti percentuali. Chi vuole andare più a fondo, e capire cosa accadrà nei sei-sette Stati in cui si deciderà la partita, deve solo scegliere se leggere su Intemet i sondaggi Rasmussen o quelli di Mason-Dixon. Certo, anche oltreoceano i sondaggi spesso sbagliano di brutto, e molti istituti mostrano la tendenza a privilegiare uno dei candidati. Ma nessuno pensa che tutto ciò sia antidemocratico.
In compenso oggi, martedì 4 novembre 2008, gli elettori italiani non sono liberi di sapere quanti, tra loro, intendono votare per il Popolo della libertà o per il Partito democratico. E guai a chi glielo dice. È proibito persino scrivere quali erano gli orientamenti degli elettori tre mesi fa, o l’anno scorso. Lo stabilisce la legge con cui, nel 2000, fu introdotta la par condicio: «Nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni è vietato rendere pubblici o, comunque, diffondere i risultati di sondaggi demoscopici sull’esito delle elezioni e sugli orientamenti politici e di voto degli elettori, anche se tali sondaggi sono stati effettuati in un periodo precedente a quello del divieto». Non c’è nessuna elezione nazionale in vista nelle prossime due settimane? Vero, ma non importa. Per vietare la diffusione di un qualunque sondaggio in ogni angolo d’Italia basta che, da qualche parte nella penisola, qualcuno si prepari a votare. E il 9 novembre si vota per eleggere il consiglio provinciale e il presidente della Provincia di Trento. Si fosse votato per scegliere il sindaco di Ariccia, in base alla legge sarebbe stato lo stesso: fino a domenica niente sondaggi sugli orientamenti di voto nazionali, in nessuna parte d’Italia. Subito dopo, ci sarà una settimana di libera informazione. Non di più, perché il 15 novembre si ricomincia con il silenzio stampa: a fine mese sono chiamati alle urne gli elettori abruzzesi.
Riassumendo. Negli Stati Uniti chi entra nel seggio per eleggere l’uomo più potente del pianeta ha mille modi diversi per sapere da che parte sta pendendo la bilancia politica, e quindi regolarsi dì conseguenza. In Italia vige il criterio opposto: una piccola elezione locale è motivo sufficiente per tenere nell’ignoranza l’intero Paese.
Gli Stati Uniti non sono un’eccezione “iper-liberista”. Il principio della massima libertà d’informazione caratterizza, ad esempio, anche l’iper-regolamentata Francia. Durante le ultime elezioni presidenziali, non solo i francesi ebbero sondaggi aggiornati sino alla vigilia del voto, ma poterono entrare ai seggi conoscendo già l’esito delle prime proiezioni, che davano Nicolas Sarkozy, futuro vincitore, in vantaggio di 6 punti.
Oggi, martedì 4 novembre 2008, a poche ore dal voto per la presidenza degli Stati Uniti, 59 milioni di italiani, bambini inclusi, sanno che il candidato democratico, Barack Obama, è accreditato di un vantaggio tra i 7 e gli 11 punti percentuali. Chi vuole andare più a fondo, e capire cosa accadrà nei sei-sette Stati in cui si deciderà la partita, deve solo scegliere se leggere su Intemet i sondaggi Rasmussen o quelli di Mason-Dixon. Certo, anche oltreoceano i sondaggi spesso sbagliano di brutto, e molti istituti mostrano la tendenza a privilegiare uno dei candidati. Ma nessuno pensa che tutto ciò sia antidemocratico.
In compenso oggi, martedì 4 novembre 2008, gli elettori italiani non sono liberi di sapere quanti, tra loro, intendono votare per il Popolo della libertà o per il Partito democratico. E guai a chi glielo dice. È proibito persino scrivere quali erano gli orientamenti degli elettori tre mesi fa, o l’anno scorso. Lo stabilisce la legge con cui, nel 2000, fu introdotta la par condicio: «Nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni è vietato rendere pubblici o, comunque, diffondere i risultati di sondaggi demoscopici sull’esito delle elezioni e sugli orientamenti politici e di voto degli elettori, anche se tali sondaggi sono stati effettuati in un periodo precedente a quello del divieto». Non c’è nessuna elezione nazionale in vista nelle prossime due settimane? Vero, ma non importa. Per vietare la diffusione di un qualunque sondaggio in ogni angolo d’Italia basta che, da qualche parte nella penisola, qualcuno si prepari a votare. E il 9 novembre si vota per eleggere il consiglio provinciale e il presidente della Provincia di Trento. Si fosse votato per scegliere il sindaco di Ariccia, in base alla legge sarebbe stato lo stesso: fino a domenica niente sondaggi sugli orientamenti di voto nazionali, in nessuna parte d’Italia. Subito dopo, ci sarà una settimana di libera informazione. Non di più, perché il 15 novembre si ricomincia con il silenzio stampa: a fine mese sono chiamati alle urne gli elettori abruzzesi.
Riassumendo. Negli Stati Uniti chi entra nel seggio per eleggere l’uomo più potente del pianeta ha mille modi diversi per sapere da che parte sta pendendo la bilancia politica, e quindi regolarsi dì conseguenza. In Italia vige il criterio opposto: una piccola elezione locale è motivo sufficiente per tenere nell’ignoranza l’intero Paese.
Gli Stati Uniti non sono un’eccezione “iper-liberista”. Il principio della massima libertà d’informazione caratterizza, ad esempio, anche l’iper-regolamentata Francia. Durante le ultime elezioni presidenziali, non solo i francesi ebbero sondaggi aggiornati sino alla vigilia del voto, ma poterono entrare ai seggi conoscendo già l’esito delle prime proiezioni, che davano Nicolas Sarkozy, futuro vincitore, in vantaggio di 6 punti.
La morale del raffronto è molto semplice. Primo: la legge italiana sulla par condicio, fatta apposta per tenere gli elettori nell’ignoranza, è agli antipodi di quelle adottate nelle maggiori democrazie. In parole povere è una schifezza. Il centrodestra ha quattro annidi tempo per cambiarla, e si spera che lo faccia, qualunque cosa ne pensino l’opposizione e il Quirinale. Secondo: i filoamericani di sinistra tipo Walter Veltroni, che difendono questa legge e intanto indicano la democrazia a stelle e strisce come modello, o sono campioni di doppiezza o ignorano le cose per cui smaniano. Il risultato è comunque ridicolo.
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