Su “Libero” oggi, Mario Prignano fa un quadro delle pulsioni che Obama suscita in casa nostra. Lo riprendo perché è utile lettura.
Un rimpianto, chiunque vinca le elezioni presidenziali americane, Silvio Berlusconi ce l’ha: «L’amicizia con George W. è qualcosa che non si potrà ripetere». Che per uno che ha sempre fondato la propria politica estera sulla solidità dei rapporti personali non è roba da poco. Per il resto, nonostante le pressioni di Antonio Martino, che avrebbe voluto una sua pronuncia pubblica in favore di John McCain, il Cavaliere guarda con molto distacco le fibrillazioni pre-elezioni Usa di tanti esponenti politici nostrani, cominciando da coloro che nel centro destra si sono schierati per Barack Obama.
Distacco, ma non indifferenza, ovviamente. Non solo per il fatto che, a suo giudizio, il processo elettorale della più grande democrazia del mondo è «troppo lungo» e «andrebbe snellito», perché ha privato e priverà ancora per mesi gli Stati Uniti di una leadership piena fino al cambio della guardia con George W. Bush a fine gennaio. Una buona dose di realismo, in questi ultimi giorni ha anche portato il premier a riflettere sul fatto che, chiunque vincerà, impiegherà molto tempo ad impadronirsi dei complicati meccanismi dì governo americano. Da qui un’attenzione non casuale a colui, o colei, che potrebbe diventare segretario di Stato, cioè la persona da cui dipenderà la politica estera a stelle e strisce, ma anche alla figura del vice presidente. A questo proposito, un buon indicatore se non delle preferenze almeno delle previsioni che si fanno nell’entourage di Berlusconi, è dato dai rapporti che la Farnesina sta alacremente intessendo con Joe Biden, non bilanciato da un analogo attivismo verso Sarah Palin forse anche per via dell’amicizia personale maturata tra Biden e Frattini nel corso di un forum internazionale a Venezia a maggio scorso, quando il candidato vice presidente di Obama sperava di diventare segretario di Stato. Assodato che quello di Berlusconi non è dunque “tifo”, ma semmai preparazione in vista di quello che ritiene l’esito più probabile della consultazione, a far pendere la bilancia pro-Obama ci sono due argomenti di politica estera a cui il nostro premier è da sempre sensibilissimo: i rapporti con la Russia di Putin, a cui il candidato democratico ha fatto sapere di tenere particolarmente, e quelli con gli ebrei americani, tradizionali elettori dell’Asinello, che Obama ha accompagnato di recente con dichiarazioni in tema di Medio Oriente che hanno preoccupato non poco i palestinesi.Uno che naturalmente tifa Obama e ieri lo ha ricordato in tutte le salse, è Walter Veltroni. Di fronte alle dichiarazioni di numerosi esponenti del centro destra che si sono dichiarati per il candidato democratico, il segretario del Pd prima è stato irridente («Guardo con sorpresa alla dilagante trasformazione in senso obamiano di gran parte della politica italiana»), poi ha dichiarato che «se Barack ce la fa, cambierà il mondo e l`Italia». Ma l`endorsement di pezzi An e di Forza Italia in favore di Obama (il ministro Gianfranco Rotondi, che ha dichiarato che «Obama crea suggestioni», il sottosegretario agli Esteri Enzo Scotti, Chiara Moroni, perfino il leader della Destra Francesco Storace) non poteva non suscitare reazioni polemiche all’interno dello stesso centro destra. Maurizio Gasparri se l’è presa con il «conformismo dilagante» e con «l’abitudine a salire sul carro del vincitore» di cui il centro destra starebbe dando prova con queste dimostrazioni di sostegno a Obama. Più ragionata la reazione dell’altro capogruppo pdl, Fabrizio Cicchitto, secondo il quale «è del tutto provinciale l’operazione tentata da Veltroni, che, essendo in difficoltà in Italia, fa adesso, alla rovescia, l’operazione che i comunisti italiani facevano con il mito dell’Urss, per cui, secondo lui, se vincesse Obama, allora il Pd ne trarrebbe grandi vantaggi». E sulle dichiarazioni pro-democrat del centro destra: «Vedo che c’è una corsa a dichiararsi pro-Obama. Io mi astengo».
Un rimpianto, chiunque vinca le elezioni presidenziali americane, Silvio Berlusconi ce l’ha: «L’amicizia con George W. è qualcosa che non si potrà ripetere». Che per uno che ha sempre fondato la propria politica estera sulla solidità dei rapporti personali non è roba da poco. Per il resto, nonostante le pressioni di Antonio Martino, che avrebbe voluto una sua pronuncia pubblica in favore di John McCain, il Cavaliere guarda con molto distacco le fibrillazioni pre-elezioni Usa di tanti esponenti politici nostrani, cominciando da coloro che nel centro destra si sono schierati per Barack Obama.
Distacco, ma non indifferenza, ovviamente. Non solo per il fatto che, a suo giudizio, il processo elettorale della più grande democrazia del mondo è «troppo lungo» e «andrebbe snellito», perché ha privato e priverà ancora per mesi gli Stati Uniti di una leadership piena fino al cambio della guardia con George W. Bush a fine gennaio. Una buona dose di realismo, in questi ultimi giorni ha anche portato il premier a riflettere sul fatto che, chiunque vincerà, impiegherà molto tempo ad impadronirsi dei complicati meccanismi dì governo americano. Da qui un’attenzione non casuale a colui, o colei, che potrebbe diventare segretario di Stato, cioè la persona da cui dipenderà la politica estera a stelle e strisce, ma anche alla figura del vice presidente. A questo proposito, un buon indicatore se non delle preferenze almeno delle previsioni che si fanno nell’entourage di Berlusconi, è dato dai rapporti che la Farnesina sta alacremente intessendo con Joe Biden, non bilanciato da un analogo attivismo verso Sarah Palin forse anche per via dell’amicizia personale maturata tra Biden e Frattini nel corso di un forum internazionale a Venezia a maggio scorso, quando il candidato vice presidente di Obama sperava di diventare segretario di Stato. Assodato che quello di Berlusconi non è dunque “tifo”, ma semmai preparazione in vista di quello che ritiene l’esito più probabile della consultazione, a far pendere la bilancia pro-Obama ci sono due argomenti di politica estera a cui il nostro premier è da sempre sensibilissimo: i rapporti con la Russia di Putin, a cui il candidato democratico ha fatto sapere di tenere particolarmente, e quelli con gli ebrei americani, tradizionali elettori dell’Asinello, che Obama ha accompagnato di recente con dichiarazioni in tema di Medio Oriente che hanno preoccupato non poco i palestinesi.Uno che naturalmente tifa Obama e ieri lo ha ricordato in tutte le salse, è Walter Veltroni. Di fronte alle dichiarazioni di numerosi esponenti del centro destra che si sono dichiarati per il candidato democratico, il segretario del Pd prima è stato irridente («Guardo con sorpresa alla dilagante trasformazione in senso obamiano di gran parte della politica italiana»), poi ha dichiarato che «se Barack ce la fa, cambierà il mondo e l`Italia». Ma l`endorsement di pezzi An e di Forza Italia in favore di Obama (il ministro Gianfranco Rotondi, che ha dichiarato che «Obama crea suggestioni», il sottosegretario agli Esteri Enzo Scotti, Chiara Moroni, perfino il leader della Destra Francesco Storace) non poteva non suscitare reazioni polemiche all’interno dello stesso centro destra. Maurizio Gasparri se l’è presa con il «conformismo dilagante» e con «l’abitudine a salire sul carro del vincitore» di cui il centro destra starebbe dando prova con queste dimostrazioni di sostegno a Obama. Più ragionata la reazione dell’altro capogruppo pdl, Fabrizio Cicchitto, secondo il quale «è del tutto provinciale l’operazione tentata da Veltroni, che, essendo in difficoltà in Italia, fa adesso, alla rovescia, l’operazione che i comunisti italiani facevano con il mito dell’Urss, per cui, secondo lui, se vincesse Obama, allora il Pd ne trarrebbe grandi vantaggi». E sulle dichiarazioni pro-democrat del centro destra: «Vedo che c’è una corsa a dichiararsi pro-Obama. Io mi astengo».
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