Il “Quotidiano Nazionale” (“Il Giorno – Il Resto del Carlino – La Nazione”) pubblica oggi un commento di Edward Luttwak dal titolo “Ma Barack è un’illusione” sulla elezione del presidente americano. Lo trascrivo perché è da leggere.
La maledizione degli intellettuali ha colpito ancora. Solo questa notte, alba di mercoledì, in Italia, sapremo chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Ma se i sondaggi sono attendibili - e penso che lo siano - il vincitore sarà Barack Hussein Obama. E allora vorrà dire che, come nel 1976, gli americani o meglio una maggioranza degli americani si saranno lasciati incantare da un candidato che promettendo “change and hope”, cambiamento e speranza, in realtà non ha un messaggio, non ha un programma, non ha esperienza alcuna.
Nel 1976, lo ricorderete, sotto l’onda emotiva del Watergate, gli americani portarono alla Casa Bianca un predicatore evangelico divenuto governatore della Georgia, Jimmy Carter. Dopo i suoi primi quattro anni la delusione fu tale che seguirono dodici anni di amministrazione repubblicana, due Reagan e un Bush. Dopo il primo mandato di Obama è probabile che seguano sedici anni di amministrazione repubblicana. So bene che verrò accusato di presunzione e di preconcetto. Non me ne importa. Obama è stato costruito a tavolino da un’élite di intellettuali. Costoro hanno sfruttato mirabilmente lo scontento dominante nella società americana soprattutto dopo la crisi finanziaria che ha impoverito la nazione e l’ha portata alle soglie della recessione.
Questa crisi è stata erroneamente attribuita al solo Bush, il più impopolare presidente dai tempi di Truman. Ma ha le sue radici nella presidenza del democratico Bill Clinton quando si oppose a regole più strette nella concessione dei cosiddetti subprimes. Questo naturalmente è stato taciuto in campagna elettorale. Né John McCain è riuscito a evocarlo efficacemente. E nemmeno la sua running mate Sarah Palin, la donna più odiata e demonizzata dal femminismo e dalle élite radical chic per essere una donna di successo, governatore e al tempo stesso madre e sposa felice, ma soprattutto bella e di destra. Se fosse stata brutta, senza figli, pro aborto e di sinistra sarebbe andata benissimo. L’onda emotiva è stata cavalcata dalle élite democratiche nelle università, dalla upper class nelle grandi città della costa orientale e di quella occidentale, dalla comunità negra. Ricordo agli amici italiani che se a votare nelle loro recenti elezioni fossero stati solo gli studenti, i professori e i laureati, Berlusconi non avrebbe mai vinto. Al governo ci sarebbe ancora la sinistra. E così sarebbe anche accaduto in Germania, dove sarebbero al potere i verdi. In Francia dove sarebbero al potere i socialisti. In Gran Bretagna dove sarebbero al potere i laboristi alla Bevin e non alla Blair. Lo stesso vale negli Stati Uniti. La maledizione degli intellettuali si è nutrita delle enormi somme fatte pervenire a Obama dal mondo dello spettacolo e dalle grandi famiglie di Chicago, dai Crown, dai Pritzker, che non saranno note quanto Rotschild, Buffet o Bill Gates, ma sono ricchissime.
Obama è stato il candidato dei ricchi e non della gente comune, contrariamente a quanto si crede. Ha raccolto quasi 650 milioni di dollari, il triplo del rivale repubblicano. Ha inondato i networks televisivi di spots pubblicitari di decine di minuti e non di decine di secondi. E dunque nel voto popolare dovrebbe godere di un vantaggio di 15 punti e non di soli - come pare - sei o sette.
Obama è un’immagine, un’illusione, un fenomeno mediatico. Non arrivo a definirlo un cialtrone, come ha fatto Larry Eagleburger, ex segretario di Stato dopo Colin Powell e in opposizione a Colin Powell (che invece diede il suo endorsement a Obama). Ritengo - ripeto - che sia una costruzione artificiale. Sua prima vittima è stata Hillary Clinton. Ricordate durante le primarie i ripetuti appelli dei media, anch’essi prevalentemente di sinistra: Hillary ritirati, ritirati per il bene del partito.
Eppure l’ex first lady aveva vinto in Pennsylvania, in Ohio, in Texas. Nulla. Il candidato era preconfezionato: doveva essere il giovane e carismatico senatore dell`Illinois.
Ebbene questo senatore domani, a meno di una clamorosa sorpresa, sarà il presidente eletto. Ma non credo che farà troppi danni. Un presidente americano non può spendere un solo dollaro senza l’approvazione del Congresso. E il futuro Congresso, benché anch’esso tutto democratico, farà buona guardia.
La maledizione degli intellettuali ha colpito ancora. Solo questa notte, alba di mercoledì, in Italia, sapremo chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Ma se i sondaggi sono attendibili - e penso che lo siano - il vincitore sarà Barack Hussein Obama. E allora vorrà dire che, come nel 1976, gli americani o meglio una maggioranza degli americani si saranno lasciati incantare da un candidato che promettendo “change and hope”, cambiamento e speranza, in realtà non ha un messaggio, non ha un programma, non ha esperienza alcuna.
Nel 1976, lo ricorderete, sotto l’onda emotiva del Watergate, gli americani portarono alla Casa Bianca un predicatore evangelico divenuto governatore della Georgia, Jimmy Carter. Dopo i suoi primi quattro anni la delusione fu tale che seguirono dodici anni di amministrazione repubblicana, due Reagan e un Bush. Dopo il primo mandato di Obama è probabile che seguano sedici anni di amministrazione repubblicana. So bene che verrò accusato di presunzione e di preconcetto. Non me ne importa. Obama è stato costruito a tavolino da un’élite di intellettuali. Costoro hanno sfruttato mirabilmente lo scontento dominante nella società americana soprattutto dopo la crisi finanziaria che ha impoverito la nazione e l’ha portata alle soglie della recessione.
Questa crisi è stata erroneamente attribuita al solo Bush, il più impopolare presidente dai tempi di Truman. Ma ha le sue radici nella presidenza del democratico Bill Clinton quando si oppose a regole più strette nella concessione dei cosiddetti subprimes. Questo naturalmente è stato taciuto in campagna elettorale. Né John McCain è riuscito a evocarlo efficacemente. E nemmeno la sua running mate Sarah Palin, la donna più odiata e demonizzata dal femminismo e dalle élite radical chic per essere una donna di successo, governatore e al tempo stesso madre e sposa felice, ma soprattutto bella e di destra. Se fosse stata brutta, senza figli, pro aborto e di sinistra sarebbe andata benissimo. L’onda emotiva è stata cavalcata dalle élite democratiche nelle università, dalla upper class nelle grandi città della costa orientale e di quella occidentale, dalla comunità negra. Ricordo agli amici italiani che se a votare nelle loro recenti elezioni fossero stati solo gli studenti, i professori e i laureati, Berlusconi non avrebbe mai vinto. Al governo ci sarebbe ancora la sinistra. E così sarebbe anche accaduto in Germania, dove sarebbero al potere i verdi. In Francia dove sarebbero al potere i socialisti. In Gran Bretagna dove sarebbero al potere i laboristi alla Bevin e non alla Blair. Lo stesso vale negli Stati Uniti. La maledizione degli intellettuali si è nutrita delle enormi somme fatte pervenire a Obama dal mondo dello spettacolo e dalle grandi famiglie di Chicago, dai Crown, dai Pritzker, che non saranno note quanto Rotschild, Buffet o Bill Gates, ma sono ricchissime.
Obama è stato il candidato dei ricchi e non della gente comune, contrariamente a quanto si crede. Ha raccolto quasi 650 milioni di dollari, il triplo del rivale repubblicano. Ha inondato i networks televisivi di spots pubblicitari di decine di minuti e non di decine di secondi. E dunque nel voto popolare dovrebbe godere di un vantaggio di 15 punti e non di soli - come pare - sei o sette.
Obama è un’immagine, un’illusione, un fenomeno mediatico. Non arrivo a definirlo un cialtrone, come ha fatto Larry Eagleburger, ex segretario di Stato dopo Colin Powell e in opposizione a Colin Powell (che invece diede il suo endorsement a Obama). Ritengo - ripeto - che sia una costruzione artificiale. Sua prima vittima è stata Hillary Clinton. Ricordate durante le primarie i ripetuti appelli dei media, anch’essi prevalentemente di sinistra: Hillary ritirati, ritirati per il bene del partito.
Eppure l’ex first lady aveva vinto in Pennsylvania, in Ohio, in Texas. Nulla. Il candidato era preconfezionato: doveva essere il giovane e carismatico senatore dell`Illinois.
Ebbene questo senatore domani, a meno di una clamorosa sorpresa, sarà il presidente eletto. Ma non credo che farà troppi danni. Un presidente americano non può spendere un solo dollaro senza l’approvazione del Congresso. E il futuro Congresso, benché anch’esso tutto democratico, farà buona guardia.
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