Il famoso pizzino di Nicola Latorre per Italo Bocchino del Pdl, durante la trasmissione Omnibus di Piroso del 14 novembre scorso diceva: «Io non posso dirlo. Ma il precedente della Corte? Pecorella?». “Striscia la notizia” ci ha sguazzato ed è diventato un caso politico bis, dopo quello di Villari. Vediamo cosa ha scritto, o meglio cosa ha pubblicato questa mattina “Il Corriere della Sera” sulla vicenda. Titolo: “Il bigliettino al Pdl. Bufera nel partito sul suggerimento scritto a Bocchino, che minimizza: solo un appunto. Rai, nel Pd Latorre sotto accusa. I dalemiani: campagna stalinista. Il senatore cede a Zavoli il posto nella commissione tv. I veltroniani: tolto da Walter”. E ancora: “Ceccanti: «Sono incredulo, spero smentisca». Duro Tonini: «Questo partito a volte mi sembra una casa di appuntamenti»”. L’articolo è di Alessandro Trocino.
La mossa del cavallo ha buttato giù la torre (intesa come Nicola). In Transatlantico si scherza, ma sono in pochi a ridere nel Pd. Perché il «pizzino» con l’assist dell’esponente dalemiano al vicecapogruppo Pdl alla Camera Italo Bocchino apre una nuova dolorosa spaccatura nel Pd. Con dalemiani e veltroniani che si fronteggiano apertamente, tra accuse di stalinismo, sospetti di complotti e annunci di una resa di conti. Rimandata, per ora, in attesa del voto in Abruzzo.
A rivelare il contenuto del «pizzino» è il conduttore di Omnibus, Antonello Piroso, con tanto di musica di sottofondo X-files. Ecco «il reperto», il ritaglio di giornale sul quale Latorre verga l’«aiutino» a Bocchino, in difficoltà con Massimo Donadi (Idv): «Io non posso dirlo. Ma il precedente della Corte? Pecorella?».
Bocchino legge, si illumina e ritrova la verve smarrita: «Anche voi avete detto di no a Pecorella alla Consulta». Teleguidato? Bocchino minimizza: «Ma quale pizzino, Nicola doveva prendere un appunto e non aveva carta e penna». Ricostruzione deboluccia. Striscia la Notizia ne fa un tormentone con tanto di duetto tra Donadi («è un inciucio all’ennesima potenza») e Bocchino. Che se la cava scherzando.
Ma Donadi non è di buonumore: «È stato un atto di slealtà di una gravità inaudita. Qualcuno lavora per il re di Prussia, è avvilente». Antonio Di Pietro gira il coltello nella piaga e chiede che cominci la resa dei conti: «Mi aspetto da Veltroni atti concreti: apra un’istruttoria».
Il primo atto sono le dimissioni di Latorre dalla Vigilanza. Lascia per far posto a Sergio Zavoli e si dice «onorato». In realtà, si mormora, lascia perché «silurato». O così si vuoi far credere. Le agenzie scrivono: «È stato Veltroni a chiamare in mattinata Anna Finocchiaro per chiedere le dimissioni di Latorre». A confermare l’irritazione dei veltroniani, ecco Stefano Ceccanti: «Sono incredulo. Mi attendo che Latorre smentisca. Così è un suggeritore della maggioranza». Il «pizzino» avvalora i sospetti di connivenza con il nemico, già diffusi per il caso Villari. Si ingigantisce l’ombra del complotto dalemiano contro Veltroni, reo di aver difeso troppo a lungo Leoluca Orlando e dunque colpevole di subalternità all’Idv.
Gianni Cuperlo non ci sta: «Leggo di Fioroni e Bettini che parlano di attentato sventato contro il segretario. Ma che attentato? A opera di chi? È troppo chiedere di militare in un partito dove l’obiettivo non sia fare pulizia di ciò che non garba?». Ora a non garbare è Latorre. Il suo posto da vicecapogruppo al Senato traballa. Per questo scatta la contraerea dalemiana.
Francesco Boccia (tesserato Red) è irridente: «Stiamo tornando dal mito di Obama a quello di Stalin?». Roberto Gualtieri è implacabile: «Campagna di delegittimazione dal sapore stalinista».
Giorgio Tonini, vicino a Veltroni, non porge l’altra guancia: «Ma quale stalinismo, questo partito a volte mi sembra una casa di appuntamenti. Una disciplina democratica è necessaria. Mi ha sorpreso che Latorre non abbia smentito nulla: è una pessima figura della politica». Tonini invita i «nemici» a farsi avanti: «Con il caso Villari sono stati sconfitti quelli che volevano mettere in difficoltà in maniera opaca e obliqua la leadership di Veltroni. Chi non è d’accordo con il segretario esca allo scoperto». Parla dei dalemiani, senza nominarli.
In Transatlantico Ermete Realacci parla di «casta» e «spregiudicatezza». Roberto Giachetti allarga le braccia: «Non si può difendere l’indifendibile». Il rutelliano Gianni Vernetti ci prova: «Latorre ha fatto benissimo, il dialogo è fondamentale. Certo, magari il mezzo di comunicazione è un po’ arcaico». Nicodemo Oliviero (Red) minimizza: «Nicola è solo un burlone, scherzava». Il popolare Pierluigi Mantini stigmatizza la «violazione della privacy» e accoglie l’invito di Tonini: «È evidente la carenza di leadership».
Non c’è più solo il dibattito «grottesco» sul pizzino, come lo definisce il presidente di Red Paolo De Castro. La partita si fa meno folkloristica e più di sostanza. Latorre non sarà sacrificato. Resterà probabilmente al suo posto di vicecapogruppo, perché Veltroni non vuole affondare il colpo. Ma la guerra è ufficialmente cominciata. Si tratta solo di dichiararla. E quello che chiede l`ulivista Franco Monaco: «Faccio un appello accorato per il bene del Pd: possiamo discutere a viso aperto di politica? La guerra sorda tra veltroniani e dalemiani nuoce al Pd e si riverbera anche sulle istituzioni».
La mossa del cavallo ha buttato giù la torre (intesa come Nicola). In Transatlantico si scherza, ma sono in pochi a ridere nel Pd. Perché il «pizzino» con l’assist dell’esponente dalemiano al vicecapogruppo Pdl alla Camera Italo Bocchino apre una nuova dolorosa spaccatura nel Pd. Con dalemiani e veltroniani che si fronteggiano apertamente, tra accuse di stalinismo, sospetti di complotti e annunci di una resa di conti. Rimandata, per ora, in attesa del voto in Abruzzo.
A rivelare il contenuto del «pizzino» è il conduttore di Omnibus, Antonello Piroso, con tanto di musica di sottofondo X-files. Ecco «il reperto», il ritaglio di giornale sul quale Latorre verga l’«aiutino» a Bocchino, in difficoltà con Massimo Donadi (Idv): «Io non posso dirlo. Ma il precedente della Corte? Pecorella?».
Bocchino legge, si illumina e ritrova la verve smarrita: «Anche voi avete detto di no a Pecorella alla Consulta». Teleguidato? Bocchino minimizza: «Ma quale pizzino, Nicola doveva prendere un appunto e non aveva carta e penna». Ricostruzione deboluccia. Striscia la Notizia ne fa un tormentone con tanto di duetto tra Donadi («è un inciucio all’ennesima potenza») e Bocchino. Che se la cava scherzando.
Ma Donadi non è di buonumore: «È stato un atto di slealtà di una gravità inaudita. Qualcuno lavora per il re di Prussia, è avvilente». Antonio Di Pietro gira il coltello nella piaga e chiede che cominci la resa dei conti: «Mi aspetto da Veltroni atti concreti: apra un’istruttoria».
Il primo atto sono le dimissioni di Latorre dalla Vigilanza. Lascia per far posto a Sergio Zavoli e si dice «onorato». In realtà, si mormora, lascia perché «silurato». O così si vuoi far credere. Le agenzie scrivono: «È stato Veltroni a chiamare in mattinata Anna Finocchiaro per chiedere le dimissioni di Latorre». A confermare l’irritazione dei veltroniani, ecco Stefano Ceccanti: «Sono incredulo. Mi attendo che Latorre smentisca. Così è un suggeritore della maggioranza». Il «pizzino» avvalora i sospetti di connivenza con il nemico, già diffusi per il caso Villari. Si ingigantisce l’ombra del complotto dalemiano contro Veltroni, reo di aver difeso troppo a lungo Leoluca Orlando e dunque colpevole di subalternità all’Idv.
Gianni Cuperlo non ci sta: «Leggo di Fioroni e Bettini che parlano di attentato sventato contro il segretario. Ma che attentato? A opera di chi? È troppo chiedere di militare in un partito dove l’obiettivo non sia fare pulizia di ciò che non garba?». Ora a non garbare è Latorre. Il suo posto da vicecapogruppo al Senato traballa. Per questo scatta la contraerea dalemiana.
Francesco Boccia (tesserato Red) è irridente: «Stiamo tornando dal mito di Obama a quello di Stalin?». Roberto Gualtieri è implacabile: «Campagna di delegittimazione dal sapore stalinista».
Giorgio Tonini, vicino a Veltroni, non porge l’altra guancia: «Ma quale stalinismo, questo partito a volte mi sembra una casa di appuntamenti. Una disciplina democratica è necessaria. Mi ha sorpreso che Latorre non abbia smentito nulla: è una pessima figura della politica». Tonini invita i «nemici» a farsi avanti: «Con il caso Villari sono stati sconfitti quelli che volevano mettere in difficoltà in maniera opaca e obliqua la leadership di Veltroni. Chi non è d’accordo con il segretario esca allo scoperto». Parla dei dalemiani, senza nominarli.
In Transatlantico Ermete Realacci parla di «casta» e «spregiudicatezza». Roberto Giachetti allarga le braccia: «Non si può difendere l’indifendibile». Il rutelliano Gianni Vernetti ci prova: «Latorre ha fatto benissimo, il dialogo è fondamentale. Certo, magari il mezzo di comunicazione è un po’ arcaico». Nicodemo Oliviero (Red) minimizza: «Nicola è solo un burlone, scherzava». Il popolare Pierluigi Mantini stigmatizza la «violazione della privacy» e accoglie l’invito di Tonini: «È evidente la carenza di leadership».
Non c’è più solo il dibattito «grottesco» sul pizzino, come lo definisce il presidente di Red Paolo De Castro. La partita si fa meno folkloristica e più di sostanza. Latorre non sarà sacrificato. Resterà probabilmente al suo posto di vicecapogruppo, perché Veltroni non vuole affondare il colpo. Ma la guerra è ufficialmente cominciata. Si tratta solo di dichiararla. E quello che chiede l`ulivista Franco Monaco: «Faccio un appello accorato per il bene del Pd: possiamo discutere a viso aperto di politica? La guerra sorda tra veltroniani e dalemiani nuoce al Pd e si riverbera anche sulle istituzioni».
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