Il “Notiziario CDP”, notiziario del Centro di Documentazione di Pistoia nel numero di gennaio-febbraio 2008, anno XXXIX (Issn 0392-4270) ha pubblicato l’”Autobiografia di un gappista fiorentino” di Cesare Massai.
Cesare Massai nacque a Firenze il 12 febbraio 1911 e morì nella stessa città l’11 febbraio 1995. La copia dell’autobiografia di Cesare Massai – in formato dattiloscritto di 108 pagine – fu donata dalla partigiana fiorentina Elsa Becheri Massai alle Brigate di Solidarietà e per la Pace, in occasione di un incontro per “fissare” i suoi ricordi sulla Resistenza in Toscana.
Questo il sommario del testo: L’arresto: ciò che deciderà la vita. L’infanzia e il lavoro nel quartiere di San Frediano. Operaio, soldato, disoccupato, soldato, … Da sfruttato senza obiettivi a quadro antifascista. La lotta armata, l’unica possibilità. Il fascicolo contiene inoltre una cronologia ragionata e un elenco ragionato delle abbreviazioni.
Di seguito un breve brano dell’autobiografia che racconta di una azione gappista.
Cesare Massai nacque a Firenze il 12 febbraio 1911 e morì nella stessa città l’11 febbraio 1995. La copia dell’autobiografia di Cesare Massai – in formato dattiloscritto di 108 pagine – fu donata dalla partigiana fiorentina Elsa Becheri Massai alle Brigate di Solidarietà e per la Pace, in occasione di un incontro per “fissare” i suoi ricordi sulla Resistenza in Toscana.
Questo il sommario del testo: L’arresto: ciò che deciderà la vita. L’infanzia e il lavoro nel quartiere di San Frediano. Operaio, soldato, disoccupato, soldato, … Da sfruttato senza obiettivi a quadro antifascista. La lotta armata, l’unica possibilità. Il fascicolo contiene inoltre una cronologia ragionata e un elenco ragionato delle abbreviazioni.
Di seguito un breve brano dell’autobiografia che racconta di una azione gappista.
Il 2 maggio fu portata a compimento un’azione studiata da tempo: tutte le sere alle 21,30 passava l’ultimo tram della linea Scandicci, sempre strapieno di militari del battaglione “Muti” che tornavano in caserma. Il giorno fissato, insieme alla compagna Elsa (che ormai aveva abbandonato l’attività politica per il lavoro militare dei GAP), aiutammo i tre compagni prescelti a salire sul muro che portava al bosco di Monteoliveto, luogo fissato per l’agguato (essi avrebbero dovuto sparare due raffiche di mitra e lanciare una bomba ad alto potenziale). Noi che non partecipavamo direttamente, ci appostammo in una strada adiacente in attesa dell’esito, finché il rumore di un’esplosione ci assicurò che tutto era stato fatto; dopo pochi secondi di silenzio, i fascisti iniziarono ad urlare contro i partigiani e a sparare all’impazzata in tutte le direzioni, come se fossero stati accerchiati. I tre compagni nel frattempo stavano fuggendo nel bosco fino all’Ombrellino da dove calarono poi fino a Porta Romana. Riaccompagnai allora la compagna Elsa a casa e da quella sera iniziò per me una vita più bella, ma più ricca di preoccupazioni: non pensavo solo alla mia vita, ma avevo paura anche per la sua.
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