Credo che sconcerterò qualcuno, come autore di un opuscolo che raccoglie miei vecchi articoli, intitolato “L’inquietante vicino di casa”. L’inquietante vicino di casa è la centrale nucleare di Caorso. Oggetto di questo post sono le dichiarazioni del ministro Scajola fatte alla tribuna di Confindustria di portare l’Italia sulla strada del nucleare.
Cosa ha detto Scajola? “Entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione. Non è più eludibile un piano di azione per il ritorno al nucleare”. Ha inoltre aggiunto che si tratta di un “solenne impegno assunto da Berlusconi, con la fiducia, che onoreremo con convinzione e determinazione”. Per Scajola: “Solo gli impianti nucleari consentono di produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell'ambiente”, ribadendo la necessità di “ricostruire competenze e istituzioni di presidio, formando la necessaria filiera imprenditoriale e tecnica e prevedendo soluzioni credibili per i rifiuti radioattivi”.
Sostanzialmente, dunque, solo un primo annuncio di un impegno a procedere su questa via seppure con “convinzione e determinazione”. Al momento niente di più. Però è bastato questo annuncio per scatenare il partito del no “senza se senza ma” che alligna particolarmente tra l’intellighenzia di sinistra. E giù una valanga di articoli dallo sprezzante al terroristico per scongiurare a priori ogni eventualità che si usi il nucleare per tirare fuori il Paese da quella dipendenza energetica cui lo stesso partito con i suoi continui veti lo ha condannato. Nel tempo, no al nucleare, che si è concretato allora nel referendum, ma anche, da quanto ricordo, no all’eolico “eccessivo” perché rovinava il paesaggio, cui si è aggiunta tutta una serie di no riguardo ai modi tradizionali di produrre energia elettrica. Certo, nessuno vuole nel proprio giardino di casa una centrale elettrica, di qualunque tipo essa sia. Va però considerato che il problema dell’energia è centrale nella nostra società, e, dunque, non può essere semplicemente esorcizzato. Discutere e dibattere va bene, ma per fare, non per ritardare alle calende greche ogni decisione operativa.
L’aspetto più paradossale della questione è che quel lontano referendum che bloccò lo sviluppo del nucleare italiano, ha distrutto le notevoli risorse di ricerca che l’Italia aveva: centri di ricerca avanzati di alto livello, ricercatori e tecnici validissimi che erano stati formati con dispendio di energie e di denaro. Risorse umane oggi pensionate e più non rimpiazzate. Se, dunque, oggi si volesse ripartire con il nucleare, si dovrebbero formare nuove generazioni di tecnici e ricercatori, e questo richiede anni.
Sulla questione in sé va detto che una centrale nucleare è enormemente più potente di un qualunque altro tipo di centrale. L’energia ricavabile da un grammo di uranio naturale è paragonabile alla stessa quantità di energia che si ricava da un paio di tonnellate di carbone. Il problema principale sono le scorie, che paradossalmente da un punto scientifico è un non problema in quanto si sa come affrontarlo e risolverlo. È un problema sostanzialmente sociale, politico, e, se volete, mediatico. Secondo i ricercatori, circa il 50% del territorio italiano potrebbe essere adeguato per siti per lo stoccaggio delle scorie radioattive, ma, come in tempi non lontani è stato verificato, è molto difficile arrivare a una decisione. L’immaginario collettivo si figura un sito del genere come una sorta di cimitero dove isolare i contenitori con il materiale radioattivo, ma così non è. I siti di stoccaggio sono dei centri di ricerca di altissimo livello, dove è assolutamente necessaria la presenza di tecnici con una formazione specifica.
Dal referendum ad oggi la tecnologia è progredita. Se allora la vita media di una centrale nucleare era di 30 anni, le centrali di terza generazione attualmente in costruzione hanno una vita media stimata intorno ai 60 anni. Quelle di quarta generazione, ancora di là da venire, renderanno ancora meno importante il problema dell’aspettativa di durata dell’impianto. La vita di una centrale è un fattore molto importante perché il maggior costo di un impianto nucleare è dato dal costo di realizzazione. Va detto che molte centrali di prima generazione hanno visto dopo rigorosi controlli prolungare la loro attività di altri vent’anni. Fatto che va letto come una diminuzione del costo dell’energia prodotta.
I tecnici ci dicono che attualmente si riesce ad utilizzare solo lo 0,6% dell’energia contenuta nell’uranio naturale. Tale percentuale sale con le centrali di terza generazione allo 0,8, ma con quelle di quarta generazione l’efficienza salirà al 70%. Secondo alcune analisi, dunque, con quelle di quarta generazione le riserve di uranio attuali dovrebbero bastare per produrre energia per migliaia di anni. Inoltre la ricerca ormai ha fornito le informazioni per dividere gli elementi più nocivi e distruggerli attraverso la trasmutazione nucleare. E con la quarta generazione, insomma, il problema delle scorie praticamente non esisterà più.
Cosa ha detto Scajola? “Entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione. Non è più eludibile un piano di azione per il ritorno al nucleare”. Ha inoltre aggiunto che si tratta di un “solenne impegno assunto da Berlusconi, con la fiducia, che onoreremo con convinzione e determinazione”. Per Scajola: “Solo gli impianti nucleari consentono di produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell'ambiente”, ribadendo la necessità di “ricostruire competenze e istituzioni di presidio, formando la necessaria filiera imprenditoriale e tecnica e prevedendo soluzioni credibili per i rifiuti radioattivi”.
Sostanzialmente, dunque, solo un primo annuncio di un impegno a procedere su questa via seppure con “convinzione e determinazione”. Al momento niente di più. Però è bastato questo annuncio per scatenare il partito del no “senza se senza ma” che alligna particolarmente tra l’intellighenzia di sinistra. E giù una valanga di articoli dallo sprezzante al terroristico per scongiurare a priori ogni eventualità che si usi il nucleare per tirare fuori il Paese da quella dipendenza energetica cui lo stesso partito con i suoi continui veti lo ha condannato. Nel tempo, no al nucleare, che si è concretato allora nel referendum, ma anche, da quanto ricordo, no all’eolico “eccessivo” perché rovinava il paesaggio, cui si è aggiunta tutta una serie di no riguardo ai modi tradizionali di produrre energia elettrica. Certo, nessuno vuole nel proprio giardino di casa una centrale elettrica, di qualunque tipo essa sia. Va però considerato che il problema dell’energia è centrale nella nostra società, e, dunque, non può essere semplicemente esorcizzato. Discutere e dibattere va bene, ma per fare, non per ritardare alle calende greche ogni decisione operativa.
L’aspetto più paradossale della questione è che quel lontano referendum che bloccò lo sviluppo del nucleare italiano, ha distrutto le notevoli risorse di ricerca che l’Italia aveva: centri di ricerca avanzati di alto livello, ricercatori e tecnici validissimi che erano stati formati con dispendio di energie e di denaro. Risorse umane oggi pensionate e più non rimpiazzate. Se, dunque, oggi si volesse ripartire con il nucleare, si dovrebbero formare nuove generazioni di tecnici e ricercatori, e questo richiede anni.
Sulla questione in sé va detto che una centrale nucleare è enormemente più potente di un qualunque altro tipo di centrale. L’energia ricavabile da un grammo di uranio naturale è paragonabile alla stessa quantità di energia che si ricava da un paio di tonnellate di carbone. Il problema principale sono le scorie, che paradossalmente da un punto scientifico è un non problema in quanto si sa come affrontarlo e risolverlo. È un problema sostanzialmente sociale, politico, e, se volete, mediatico. Secondo i ricercatori, circa il 50% del territorio italiano potrebbe essere adeguato per siti per lo stoccaggio delle scorie radioattive, ma, come in tempi non lontani è stato verificato, è molto difficile arrivare a una decisione. L’immaginario collettivo si figura un sito del genere come una sorta di cimitero dove isolare i contenitori con il materiale radioattivo, ma così non è. I siti di stoccaggio sono dei centri di ricerca di altissimo livello, dove è assolutamente necessaria la presenza di tecnici con una formazione specifica.
Dal referendum ad oggi la tecnologia è progredita. Se allora la vita media di una centrale nucleare era di 30 anni, le centrali di terza generazione attualmente in costruzione hanno una vita media stimata intorno ai 60 anni. Quelle di quarta generazione, ancora di là da venire, renderanno ancora meno importante il problema dell’aspettativa di durata dell’impianto. La vita di una centrale è un fattore molto importante perché il maggior costo di un impianto nucleare è dato dal costo di realizzazione. Va detto che molte centrali di prima generazione hanno visto dopo rigorosi controlli prolungare la loro attività di altri vent’anni. Fatto che va letto come una diminuzione del costo dell’energia prodotta.
I tecnici ci dicono che attualmente si riesce ad utilizzare solo lo 0,6% dell’energia contenuta nell’uranio naturale. Tale percentuale sale con le centrali di terza generazione allo 0,8, ma con quelle di quarta generazione l’efficienza salirà al 70%. Secondo alcune analisi, dunque, con quelle di quarta generazione le riserve di uranio attuali dovrebbero bastare per produrre energia per migliaia di anni. Inoltre la ricerca ormai ha fornito le informazioni per dividere gli elementi più nocivi e distruggerli attraverso la trasmutazione nucleare. E con la quarta generazione, insomma, il problema delle scorie praticamente non esisterà più.
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