La sinistra dopo la doppia sconfitta alle politiche e alle amministrative – la mazzata è stata la perdita del Comune di Roma consegnato ad Alemanno – è in rotta. Peggio di Caporetto. Ieri due fatti lontani tra loro fisicamente hanno mostrato i primi segni che la disperazione per la disfatta è profonda. La sempre ostentata superiorità intellettuale dei “sinistri”, la sufficienza nel trattare tutti, come se fossero una massa di beoti, e tutto, come se i problemi fossero quisquiglie, non tiene più né porta frutti. Non solo Veltroni che sull’ultimo palco sembrava un Schumacher già vittorioso, ma l’idiozia di riscegliere dopo la gran sberla, come se nulla fosse successo, a capogruppo della pesta legione senatoria la Finocchiaro, saccente, supponente e antipatica, che in Sicilia aveva collezionato una batosta incredibile al confronto con la credibile Borsellino, e di proporre due reliquie, Rutelli e Fassino, come vicepresidenti delle Camere; tutto ciò mostra ad abundantiam la confusione mentale che regna nella “soffitta” post-prodiana dopo che il “si può fare” è ritornato il vecchio “che fare” dell’età dell’oro.
Ieri, dicevo. Cominciamo con Bertinotti. I fischi sono arrivati di prima mattina – scrive Repubblica, – prima che iniziasse la manifestazione del primo maggio in piazza Vittorio dove c'era il concentramento del corteo. L'ex presidente della Camera si è avvicinato agli striscioni e alle bandiere di Rifondazione Comunista e un gruppo di giovani dei centri sociali lo ha praticamente fatto allontanare contestandogli la politica del governo di centrosinistra e la sua partecipazione alla Fiera del Libro di Torino, rea di aver invitato Israele. La manifestazione poi è filata via liscia, continuano le cronache, trenta mila persone, Bertinotti e Ferrero (che ha preteso le dimissioni e il commissariamento di Rifondazione proprio contestando la linea di Giordano e Bertinotti) che si abbracciano sotto lo striscione di Rifondazione nel cuore del corteo. Patetico momento d’un patetico sconfortato morente movimento. "Erano solo 7-8 persone" ha corretto alla fine Gennaro Migliore (che spettacolo era vederlo in doppiopetto quando svolgeva le sue funzioni di capogruppo alla Camera, un vero “camerata”). Il popolo della sinistra, comunque – dice Repubblica, – stamani è sembrato diviso mentre scivolava per le vie di Torino. E poco aiuta quanto dichiara il ministro uscente Paolo Ferrero: “Tra me e Fausto un unico dissenso”. E riguarda come far ripartire la sinistra: “Lui ha voluto accelerare il percorso verso un soggetto unico della sinistra, invece io credo si debba ancora costruire il movimento dal basso, soprattutto dopo questa sconfitta elettorale e aprendo a tutta la sinistra, compresi i Verdi e i senza tessera. Dobbiamo ripartire dall' opposizione sociale al governo Berlusconi e in questo dobbiamo dimostrare la nostra utilità sociale”. E se fosse, oggi, inutilità sociale? Una domanda che prima o poi ci si dovrà pur porre visto che le fila di quanti seguono questa avanguardia d’intellighenzia politica e sociale s’assottigliano sempre più e restano duri e puri quei quattro gatti che in piazza a Torino si sono divertiti ad inscenare un falò di primavera.
Non c’è confronto che tenga con il sindaco di Roma Gianni Alemanno e la leader dell'Ugl Renata Polverini. “Chi lavora deve avere dignità, reddito e sicurezza. Il mio impegno più grande sarà sconfiggere a Roma il caporalato, il precariato e le morti sul lavoro, grande emergenza di questi tempi” ha detto – ci racconta Repubblica – il sindaco soddisfatto che la sua prima uscita ufficiale “con questa fascia tricolore che pesa” sia avvenuta proprio per il Primo Maggio. “Alle morti bianche, agli infortunati, agli invisibili colpiti dalle malattie professionali continuiamo a dedicare ogni minuto del nostro impegno quotidiano nei luoghi di lavoro”, così la Polverini. Erano almeno in trenta mila, ieri mattina, a Roma, ad ascoltarli.
Il secondo evento s’è svolto ieri sera da Santoro. Ma è stata anche questa una debacle, perché la trasmissione, che evidentemente intendeva preannunciare una linea editoriale mirante alla ricacciata dei due compari – Santoro e Travaglio – dalla Rai, per dimostrare il fascismo mediatico del nuovo governo, complice uno Sgarbi estremamente “sgarbato” ed intollerante, in un colpo solo ha distrutto tre miti. Il mito di Grillo, il mito di Travaglio, il mito della “libertà d’informazione” sostenuta con le tasche dei cittadini. Grillo, agitato da Santoro e Travaglio come una di clava contro il centrodestra dello “psiconano”, ha finito con lo sfasciarsi. Colpito a morte da una semplice osservazione, ripetuta urlata da Sgarbi, che oggi fa proseliti. Si legge, infatti, oggi su Repubblica online: “Molti dei commentatori di quel post [il post nel blog di Grillo dal titolo “La colonna infame”] però ora cominciano a chiedersi come giudicare il fatto che l'idolo dei precari guadagni 4 milioni di euro l'anno”.
Ma anche Travaglio, davanti allo telespettatore medio e neutro, non ha finito col fare una bella figura. Già essere stato da Grillo aveva in qualche modo minato la sua credibilità, anche se in quella sede aveva espresso tesi diverse, ma difficilmente distinguibili da quelle del vulcano eruttante bava che quel palco dominava. Ieri sera, nel confronto con Sgarbi ha dimostrato la sua pochezza di personaggio che per esistere come tale ha bisogno di un “non contraddittorio”. Che le obiezioni gridate da Sgarbi fossero corrette o solo urli poco importa. Hanno messo in luce la fragilità delle affermazioni dal sapore apodittico di Travaglio per il solo fatto che sono apparse finalmente attaccabili. La superiorità ostentata da Travaglio in tutti i suoi interventi, da sempre e dovunque, si è insomma sbriciolata. Si è avvertito un paragone con Grillo ingiusto che però ha finito con l’accomunarlo. E non mi meraviglierei che qualcuno non sia andato a guardare in queste ore quanto sia il reddito dichiarato da Travaglio, visto che i dati sulle dichiarazioni navigano ormai senza controllo sulla rete, tant’è che meglio sarebbe sbloccare il veto alla loro divulgazione sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Se non altro per garantire l’assenza di strumentalizzazioni.
Terzo fatto i giornali. Si è capito insomma, o meglio è passato il messaggio che anche la cosiddetta “libertà d’informazione”, eretta come barricata da giornali e giornalisti, altro non significhi che un altro magna magna, e i giornalisti – ma questo già era stato detto – non solo una corporazione, ma una vera casta sacerdotale degli interessi forti, senza eccezioni, per dire, Travaglio compreso. L’effetto l’idea che, tolto definitivamente e per sempre il sostentamento pubblico – fatto mettendo le mani in tasca ai cittadini, anche di quelli che i giornali non li leggono proprio, – un provvedimento questo che sarebbe sacrosanto e da fare immediatamente, i giornali si debbano confrontare con il mercato: chi sopravvive bene, altrimenti saluti e baci. La invocata libertà d’informazione insomma non c’entra nulla con la sopravvivenza di giornali che nessuno legge. È ben altro, per fortuna. E qui Grillo – per redimerlo – ha ragione in toto.
Non c’è confronto che tenga con il sindaco di Roma Gianni Alemanno e la leader dell'Ugl Renata Polverini. “Chi lavora deve avere dignità, reddito e sicurezza. Il mio impegno più grande sarà sconfiggere a Roma il caporalato, il precariato e le morti sul lavoro, grande emergenza di questi tempi” ha detto – ci racconta Repubblica – il sindaco soddisfatto che la sua prima uscita ufficiale “con questa fascia tricolore che pesa” sia avvenuta proprio per il Primo Maggio. “Alle morti bianche, agli infortunati, agli invisibili colpiti dalle malattie professionali continuiamo a dedicare ogni minuto del nostro impegno quotidiano nei luoghi di lavoro”, così la Polverini. Erano almeno in trenta mila, ieri mattina, a Roma, ad ascoltarli.
Il secondo evento s’è svolto ieri sera da Santoro. Ma è stata anche questa una debacle, perché la trasmissione, che evidentemente intendeva preannunciare una linea editoriale mirante alla ricacciata dei due compari – Santoro e Travaglio – dalla Rai, per dimostrare il fascismo mediatico del nuovo governo, complice uno Sgarbi estremamente “sgarbato” ed intollerante, in un colpo solo ha distrutto tre miti. Il mito di Grillo, il mito di Travaglio, il mito della “libertà d’informazione” sostenuta con le tasche dei cittadini. Grillo, agitato da Santoro e Travaglio come una di clava contro il centrodestra dello “psiconano”, ha finito con lo sfasciarsi. Colpito a morte da una semplice osservazione, ripetuta urlata da Sgarbi, che oggi fa proseliti. Si legge, infatti, oggi su Repubblica online: “Molti dei commentatori di quel post [il post nel blog di Grillo dal titolo “La colonna infame”] però ora cominciano a chiedersi come giudicare il fatto che l'idolo dei precari guadagni 4 milioni di euro l'anno”.
Ma anche Travaglio, davanti allo telespettatore medio e neutro, non ha finito col fare una bella figura. Già essere stato da Grillo aveva in qualche modo minato la sua credibilità, anche se in quella sede aveva espresso tesi diverse, ma difficilmente distinguibili da quelle del vulcano eruttante bava che quel palco dominava. Ieri sera, nel confronto con Sgarbi ha dimostrato la sua pochezza di personaggio che per esistere come tale ha bisogno di un “non contraddittorio”. Che le obiezioni gridate da Sgarbi fossero corrette o solo urli poco importa. Hanno messo in luce la fragilità delle affermazioni dal sapore apodittico di Travaglio per il solo fatto che sono apparse finalmente attaccabili. La superiorità ostentata da Travaglio in tutti i suoi interventi, da sempre e dovunque, si è insomma sbriciolata. Si è avvertito un paragone con Grillo ingiusto che però ha finito con l’accomunarlo. E non mi meraviglierei che qualcuno non sia andato a guardare in queste ore quanto sia il reddito dichiarato da Travaglio, visto che i dati sulle dichiarazioni navigano ormai senza controllo sulla rete, tant’è che meglio sarebbe sbloccare il veto alla loro divulgazione sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Se non altro per garantire l’assenza di strumentalizzazioni.
Terzo fatto i giornali. Si è capito insomma, o meglio è passato il messaggio che anche la cosiddetta “libertà d’informazione”, eretta come barricata da giornali e giornalisti, altro non significhi che un altro magna magna, e i giornalisti – ma questo già era stato detto – non solo una corporazione, ma una vera casta sacerdotale degli interessi forti, senza eccezioni, per dire, Travaglio compreso. L’effetto l’idea che, tolto definitivamente e per sempre il sostentamento pubblico – fatto mettendo le mani in tasca ai cittadini, anche di quelli che i giornali non li leggono proprio, – un provvedimento questo che sarebbe sacrosanto e da fare immediatamente, i giornali si debbano confrontare con il mercato: chi sopravvive bene, altrimenti saluti e baci. La invocata libertà d’informazione insomma non c’entra nulla con la sopravvivenza di giornali che nessuno legge. È ben altro, per fortuna. E qui Grillo – per redimerlo – ha ragione in toto.
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