Il 24 giugno 1972, “il manifesto” pubblicava un corsivo in cui, prendendo spunto da un aumento aberrante di stipendio destinato ai professori universitari si dava descrizione di quello che era ed è ancora oggi il sistema sociale in cui viviamo, una piramide dove il reddito è inversamente proporzionale alla funzione produttiva e dove programmazione, sviluppo, interesse nazionale, responsabilità sindacale, modo di produzione e di consumo è funzionale alla perpetuazione di generazione in generazione di una maggioranza di ignoranti-operai schiavi e una minoranza «colta» e dominante. E citando due politici del tempo, Colombo e La Malfa, così esprimeva la legge alla base che regolava e regola il tutto: «Perché la destra vince? Perché questo le piace e le conviene, lo dice e lo fa, ed è pronta a fare il fascismo appena queste regole sono messe in forse. Perché la sinistra perde? Perché non vorrebbe queste conseguenze ma accetta, o subisce, le regole che le rendono fatali. Il capitalismo non è più contestato come meccanismo e come anima, neppure idealmente. Una strategia della rivoluzione in occidente è difficile. Ma intanto manca una premessa, se non facile, assolutamente elementare: ed è che non esisterà una sinistra, una forza politica e un sistema di alleanze per gli operai, finché quella che c’è parteciperà – come punto di vista e come comportamento pratico e materiale, collettivo e personale – molto più dei privilegi degli strati dominanti che della moderna schiavitù operaia.»
Oggi, con cotanto senno di poi, vien da dire che “il manifesto” non sia un giornale granché letto a sinistra.
Oggi, con cotanto senno di poi, vien da dire che “il manifesto” non sia un giornale granché letto a sinistra.
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