Il buon Eugenio Scalfari, non sapendo più a che santo votarsi, affida ad una citazione di Alexis de Tocqueville le ultime speranze revansciste. Riporto alcuni paragrafi che sono significativi per capire quanto male e livorosamente si possa vivere la situazione politica attuale. “Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla”, il primo e questo, ancora più eloquente, il secondo: “Non si può fare a meno di rimanere stupefatti di vedere in quali mani indegne possa cadere anche un grande popolo”. Naturalmente, furbescamente afferma: « Aggiungo per doverosa completezza l'avvertenza che spesso compare in certi film che trattano problemi e casi di stretta attualità: “Ogni riferimento a personaggi reali è infondato o puramente casuale”.»
Ho scritto furbescamente perché il modo in cui è costruito il suo commento – lo si legga attentamente – dichiara sì le distanze da ciò che si dice, ma intanto, chissà perché, lo si dice, lasciando al lettore la scelta di cosa mandare a memoria. Questo è l’appiglio: «Tanto [Berlusconi] è stato demagogico e iracondo nelle sue precedenti apparizioni e tanto appare oggi uno statista pensieroso del bene comune». Tanto che, la si butta lì, « Molti dubitano della sincerità di questa trasformazione». Il fondamento di ciò sta per Scalfari in un sondaggio di “Sky Tg24” su questo tema, la domanda: “è sincero o è bugiardo?”, con questo risultato: per l'82 per cento “è bugiardo”. Scrive Scalfari: «Una parte consistente del campione è formata evidentemente da persone che appena pochi giorni prima avevano votato per lui. Ciò rende estremamente pertinente l'analisi di Tocqueville». La cosa è detta, quindi ci si può dissociare: « Ma io non credo… che Silvio Berlusconi, bugiardo per antonomasia, in questo caso menta. È un grande attore e un grande venditore del suo prodotto, cioè di se stesso, e come tutti i grandi attori si immedesima completamente con ciò che dice. Nel momento in cui decide di assumere e interpretare il personaggio dello statista, quella maschera diventa vera, diventa realtà, l'attore si comporta da statista e lo è. Quindi va preso sul serio. Del resto in politica le parole sono pietre ed è precluso fare il processo alle intenzioni».
Ma… c’è un ma. Ne dubitavate? Continua Scalfari: «Tuttavia la memoria delle maschere assunte in precedenza rimane e deve rimanere perché l'attore può cambiar maschera a suo piacimento e in qualunque momento se gli ostacoli che incontra lungo la strada si rivelino troppo difficili e troppo ostici ai suoi interessi e alle sue ambizioni. Il grande attore non ha convinzioni proprie e una propria identità: si immedesima nella parte e quella è la sua forza. Finita una recita ne comincia un'altra; talvolta interpreta due parti e due personaggi diversi e addirittura contrapposti. In queste situazioni pirandelliane Berlusconi ci si ritrova molto bene e tutti noi, cittadini di questo Paese, dobbiamo ricordarcelo». Si paventa la possibilità, insomma d’un cambio di maschera, e la cosa viene agitata come un feticcio. Attenti a crederci sul serio e a farsi affascinare: « Il neo-statista va preso sul serio e gli si può e anzi gli si deve fare un'apertura di credito; del resto le elezioni le ha vinte e la sua legittimità è piena e fuori discussione. Non altrettanto la sua tempra morale e politica. Perciò con lui la disponibilità deve andare di pari passo alla memoria vigile e al riscontro costante tra parole e fatti, tra intenzioni e realizzazioni».
La battaglia è sulla questione sicurezza. L’inefficienza del governo di centrosinistra sulla questione viene scaricata sulla sinistra radicale. « La magistratura, le sue lentezze e i suoi riti hanno fatto il resto e la delinquenza ha goduto di una diffusa impunità.», che, Scalfari aggiunge, «Non tale tuttavia da rappresentare una minaccia nazionale». Se sulla sicurezza il campione sostenuto dalla lobby mediatica, Veltroni, ha perso, un motivo c’è, e così lo spiega Scalfari: «Se essa è balzata al primo posto nelle preoccupazioni degli italiani ciò è avvenuto perché la percezione di quella minaccia e la paura che ne è derivata sono state cavalcate senza risparmio e senza ritegno dai triumviri del centrodestra. Cecità di fronte al fenomeno della micro-delinquenza da parte della sinistra radicale, eccitamento della paura da parte della destra: in queste condizioni i richiami alla ragione e al senso di responsabilità dei democratici sono caduti nel vuoto».
Per Scalfari c’è spazio per un revanscismo e ci si butta dentro contando sulla sensibilità del “bono taliano” di vecchia memoria. E si esagera la versione dei fatti, dimenticando il giudizio in proposito di Manganelli (“Non credo ci sia una regia della camorra, credo che ci sono delle cose che partono dal malcontento popolare. Dal malcontento a volte si passa agli eccessi, alle manifestazioni di questo malcontento e noi ci troviamo a gestire il conflitto”), e dunque così si scrive: «Immediatamente dopo la vittoria elettorale di Berlusconi è scoppiata la sindrome delle ronde di strada, della repressione fai-da-te, del giustizialismo di quartiere. Nelle province di camorra la criminalità organizzata si è trasformata in giustizialismo di piazza: la manovalanza camorrista ha preceduto la polizia e i carabinieri, l'assalto ai campi rom è venuto prima delle leggi in corso di redazione da parte del nuovo ministro dell'Interno il quale, in accordo con il sindaco di Milano e con quello di Roma, ha anche istituito la nuovissima figura del “Commissario ai rom”. Che cosa debba fare un commissario addetto ad un'etnia è un mistero, ma una cosa è certa: si tratta di un'inutile e pericolosissima criminalizzazione d'una collettività».
Si esorcizza ciò che più si teme: il reato di immigrazione clandestina; e dunque si scrive: «Il reato di immigrazione clandestina, che costituiva uno dei punti forti della predicazione leghista, ha dovuto essere depennato di fronte alle obiezioni del capo dello Stato e dell'opinione pubblica europea, ma resta un contesto non solo repressivo ma persecutorio che eccita ancora di più la gente di mano e il teppismo della destra estrema». Tolto dal decreto legge, ma non cancellato come progetto. Ma ciò che più dovrebbe sconcertare un duro e puro lettore di sinistra, è la dettatura della linea politica all’opposizione, che resta, Scalfari ama sottolinearlo, “come è giusto che sia”, fortemente conflittuale. E dopo aver notato che: «Non si è parlato invece di sicurezza, per riguardo (così è stato detto) alle prerogative del Capo dello Stato cui spetta di controfirmare i decreti e i disegni di legge», rimbrotta, plurale maiestatis d’ordinanza: «A noi non sembra una buona cosa avere escluso dall'agenda di questo primo incontro il tema della sicurezza. Al dà degli specifici provvedimenti di prevenzione e di repressione che si dovranno adottare, resta una visione d'insieme che riguarda - come scrive Tocqueville nella citazione sopra riportata – “il gusto di civiltà e di libertà”», perché: «La nostra visione di cittadini democratici mette strettamente insieme la legalità, la protezione dei cittadini, la certezza delle pene, la repressione rigorosa della giustizia di strada e delle ronde “volontarie”, l'opposizione più ferma ad ogni criminalizzazione di etnie e di collettività». E, dunque, conclude così la sua reprimenda: «Questo avremmo voluto che il segretario del Pd dicesse a titolo di premessa nel suo primo incontro con il presidente del Consiglio». Veltroni, cui «sappiamo che questa visione e questi valori appartengono interamente al [suo] patrimonio etico-politico, è avvertito.
Nella parte finale del commento c’è la stigmatizzazione del federalismo di cui Scalfari si mostra – e non poteva essere diversamente – nemico. Ma questo sarà argomento di un prossimo post.
Ho scritto furbescamente perché il modo in cui è costruito il suo commento – lo si legga attentamente – dichiara sì le distanze da ciò che si dice, ma intanto, chissà perché, lo si dice, lasciando al lettore la scelta di cosa mandare a memoria. Questo è l’appiglio: «Tanto [Berlusconi] è stato demagogico e iracondo nelle sue precedenti apparizioni e tanto appare oggi uno statista pensieroso del bene comune». Tanto che, la si butta lì, « Molti dubitano della sincerità di questa trasformazione». Il fondamento di ciò sta per Scalfari in un sondaggio di “Sky Tg24” su questo tema, la domanda: “è sincero o è bugiardo?”, con questo risultato: per l'82 per cento “è bugiardo”. Scrive Scalfari: «Una parte consistente del campione è formata evidentemente da persone che appena pochi giorni prima avevano votato per lui. Ciò rende estremamente pertinente l'analisi di Tocqueville». La cosa è detta, quindi ci si può dissociare: « Ma io non credo… che Silvio Berlusconi, bugiardo per antonomasia, in questo caso menta. È un grande attore e un grande venditore del suo prodotto, cioè di se stesso, e come tutti i grandi attori si immedesima completamente con ciò che dice. Nel momento in cui decide di assumere e interpretare il personaggio dello statista, quella maschera diventa vera, diventa realtà, l'attore si comporta da statista e lo è. Quindi va preso sul serio. Del resto in politica le parole sono pietre ed è precluso fare il processo alle intenzioni».
Ma… c’è un ma. Ne dubitavate? Continua Scalfari: «Tuttavia la memoria delle maschere assunte in precedenza rimane e deve rimanere perché l'attore può cambiar maschera a suo piacimento e in qualunque momento se gli ostacoli che incontra lungo la strada si rivelino troppo difficili e troppo ostici ai suoi interessi e alle sue ambizioni. Il grande attore non ha convinzioni proprie e una propria identità: si immedesima nella parte e quella è la sua forza. Finita una recita ne comincia un'altra; talvolta interpreta due parti e due personaggi diversi e addirittura contrapposti. In queste situazioni pirandelliane Berlusconi ci si ritrova molto bene e tutti noi, cittadini di questo Paese, dobbiamo ricordarcelo». Si paventa la possibilità, insomma d’un cambio di maschera, e la cosa viene agitata come un feticcio. Attenti a crederci sul serio e a farsi affascinare: « Il neo-statista va preso sul serio e gli si può e anzi gli si deve fare un'apertura di credito; del resto le elezioni le ha vinte e la sua legittimità è piena e fuori discussione. Non altrettanto la sua tempra morale e politica. Perciò con lui la disponibilità deve andare di pari passo alla memoria vigile e al riscontro costante tra parole e fatti, tra intenzioni e realizzazioni».
La battaglia è sulla questione sicurezza. L’inefficienza del governo di centrosinistra sulla questione viene scaricata sulla sinistra radicale. « La magistratura, le sue lentezze e i suoi riti hanno fatto il resto e la delinquenza ha goduto di una diffusa impunità.», che, Scalfari aggiunge, «Non tale tuttavia da rappresentare una minaccia nazionale». Se sulla sicurezza il campione sostenuto dalla lobby mediatica, Veltroni, ha perso, un motivo c’è, e così lo spiega Scalfari: «Se essa è balzata al primo posto nelle preoccupazioni degli italiani ciò è avvenuto perché la percezione di quella minaccia e la paura che ne è derivata sono state cavalcate senza risparmio e senza ritegno dai triumviri del centrodestra. Cecità di fronte al fenomeno della micro-delinquenza da parte della sinistra radicale, eccitamento della paura da parte della destra: in queste condizioni i richiami alla ragione e al senso di responsabilità dei democratici sono caduti nel vuoto».
Per Scalfari c’è spazio per un revanscismo e ci si butta dentro contando sulla sensibilità del “bono taliano” di vecchia memoria. E si esagera la versione dei fatti, dimenticando il giudizio in proposito di Manganelli (“Non credo ci sia una regia della camorra, credo che ci sono delle cose che partono dal malcontento popolare. Dal malcontento a volte si passa agli eccessi, alle manifestazioni di questo malcontento e noi ci troviamo a gestire il conflitto”), e dunque così si scrive: «Immediatamente dopo la vittoria elettorale di Berlusconi è scoppiata la sindrome delle ronde di strada, della repressione fai-da-te, del giustizialismo di quartiere. Nelle province di camorra la criminalità organizzata si è trasformata in giustizialismo di piazza: la manovalanza camorrista ha preceduto la polizia e i carabinieri, l'assalto ai campi rom è venuto prima delle leggi in corso di redazione da parte del nuovo ministro dell'Interno il quale, in accordo con il sindaco di Milano e con quello di Roma, ha anche istituito la nuovissima figura del “Commissario ai rom”. Che cosa debba fare un commissario addetto ad un'etnia è un mistero, ma una cosa è certa: si tratta di un'inutile e pericolosissima criminalizzazione d'una collettività».
Si esorcizza ciò che più si teme: il reato di immigrazione clandestina; e dunque si scrive: «Il reato di immigrazione clandestina, che costituiva uno dei punti forti della predicazione leghista, ha dovuto essere depennato di fronte alle obiezioni del capo dello Stato e dell'opinione pubblica europea, ma resta un contesto non solo repressivo ma persecutorio che eccita ancora di più la gente di mano e il teppismo della destra estrema». Tolto dal decreto legge, ma non cancellato come progetto. Ma ciò che più dovrebbe sconcertare un duro e puro lettore di sinistra, è la dettatura della linea politica all’opposizione, che resta, Scalfari ama sottolinearlo, “come è giusto che sia”, fortemente conflittuale. E dopo aver notato che: «Non si è parlato invece di sicurezza, per riguardo (così è stato detto) alle prerogative del Capo dello Stato cui spetta di controfirmare i decreti e i disegni di legge», rimbrotta, plurale maiestatis d’ordinanza: «A noi non sembra una buona cosa avere escluso dall'agenda di questo primo incontro il tema della sicurezza. Al dà degli specifici provvedimenti di prevenzione e di repressione che si dovranno adottare, resta una visione d'insieme che riguarda - come scrive Tocqueville nella citazione sopra riportata – “il gusto di civiltà e di libertà”», perché: «La nostra visione di cittadini democratici mette strettamente insieme la legalità, la protezione dei cittadini, la certezza delle pene, la repressione rigorosa della giustizia di strada e delle ronde “volontarie”, l'opposizione più ferma ad ogni criminalizzazione di etnie e di collettività». E, dunque, conclude così la sua reprimenda: «Questo avremmo voluto che il segretario del Pd dicesse a titolo di premessa nel suo primo incontro con il presidente del Consiglio». Veltroni, cui «sappiamo che questa visione e questi valori appartengono interamente al [suo] patrimonio etico-politico, è avvertito.
Nella parte finale del commento c’è la stigmatizzazione del federalismo di cui Scalfari si mostra – e non poteva essere diversamente – nemico. Ma questo sarà argomento di un prossimo post.
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