Siamo al capolinea. La batosta elettorale sembra aver prosciugato, almeno temporaneamente, la linfa di genuina “intelligenza” che alimentava la satira di sinistra. Regge ancora, forse per un’inconscia reazione alla sconfitta, quella che si rivolta contro i propri “condottieri” mazzolati brutalmente dagli elettori nel segreto dell’urna. Il Veltroni di Crozza mantiene il livello dei D’Alema e Berlusconi della Guzzanti, passati alla storia. Ma, quando si vuol attaccare il “nemico” politico che si è impossessato delle poltrone scaldate fino a ieri da Prodi e “l’accozzaglia” di centrosinistra, inevitabilmente il discorso non fa più ridere, stucchevole e manierista com’è, incapace di rinnovamento, di mettersi al passo con chi di là dal vetro della finestra mediatica guarda la pattuglia di guitti che si sforza di far sorridere, ma è soltanto un funerale. Un triste e sconsolato funerale della sinistra.
Già in un post precedente avevo annotato la difficoltà di Vauro di far sorridere, ma era una serata di tempesta, d’insulti, di colpi di coda e di ululati ad una luna tramontata. Poteva starci la défaillance dovuta alla tragica constatazione di essere de facto l’unico in quel consesso a non meritarsi l’epiteto-medaglia con cui erano stati gratificati tutti gli altri. Ieri sera Crozza, tolto come detto il Crozza-Veltroni, è sembrato un’enciclopedia di luoghi comuni, di déjà vu, di già sentito, che ha annoiato fin troppo – e buon per lui che sugli altri canali non c’era molto. Crozza, o meglio, i suoi autori dovrebbero pensare che nella satira non si può essere conservatori come in politica. Già in politica – come si è visto – non pagano le solite canzonette, i soliti film, figurarsi nello spettacolo, dove un continuo rinnovamento è un obbligo per sopravvivere. Se il Crozza di Floris è un segnale, il Crozza che non crede più, neppure lui, all’efficacia delle sue battute, forse qualche speranza c’è di ritornare a ridere prima o poi, tra qualche tempo quando la lingua sarà usata per parole graffianti e non più per leccarsi le ferite. È un auspicio, perché c’è bisogno di ridere; l’altra satira, la satira “benpensante”, la satira del Bagaglino, la satira di destra non fa ridere.
En passant per chiudere, un’annotazione sulla presenza del “tutor” Travaglio. Se c’era bisogno, ma non c’era bisogno, il giornalista ha mostrato che l’efficacia dei suoi temi maniacali è basata sul non contraddittorio. Ha dato la sua versione della serata di tempesta da Santoro, forse buona per chi la puntata di Annozero non l’ha proprio seguita. Purtroppo per lui, la realtà descritta agli occhi di chi ne è stato telespettatore non calzava proprio. Sarà il suo modo di raccontare le cose, sarà l’ostentata superiorità di chi sa tutto e capisce tutto, ma non è riuscito a convincere che quella di giovedì non fosse una botola alla bene e meglio nascosta, la scelta di festeggiare la nuova vittoria del centrodestra usando l’artificiere Grillo e la miccia Sgarbi. Almeno Travaglio riuscisse lui pure a far ridere: ci ha provato ieri visto il contesto un paio di volte, ma non s’è discostato di molto dal suo leitmotiv di sempre, la tragedia.
Già in un post precedente avevo annotato la difficoltà di Vauro di far sorridere, ma era una serata di tempesta, d’insulti, di colpi di coda e di ululati ad una luna tramontata. Poteva starci la défaillance dovuta alla tragica constatazione di essere de facto l’unico in quel consesso a non meritarsi l’epiteto-medaglia con cui erano stati gratificati tutti gli altri. Ieri sera Crozza, tolto come detto il Crozza-Veltroni, è sembrato un’enciclopedia di luoghi comuni, di déjà vu, di già sentito, che ha annoiato fin troppo – e buon per lui che sugli altri canali non c’era molto. Crozza, o meglio, i suoi autori dovrebbero pensare che nella satira non si può essere conservatori come in politica. Già in politica – come si è visto – non pagano le solite canzonette, i soliti film, figurarsi nello spettacolo, dove un continuo rinnovamento è un obbligo per sopravvivere. Se il Crozza di Floris è un segnale, il Crozza che non crede più, neppure lui, all’efficacia delle sue battute, forse qualche speranza c’è di ritornare a ridere prima o poi, tra qualche tempo quando la lingua sarà usata per parole graffianti e non più per leccarsi le ferite. È un auspicio, perché c’è bisogno di ridere; l’altra satira, la satira “benpensante”, la satira del Bagaglino, la satira di destra non fa ridere.
En passant per chiudere, un’annotazione sulla presenza del “tutor” Travaglio. Se c’era bisogno, ma non c’era bisogno, il giornalista ha mostrato che l’efficacia dei suoi temi maniacali è basata sul non contraddittorio. Ha dato la sua versione della serata di tempesta da Santoro, forse buona per chi la puntata di Annozero non l’ha proprio seguita. Purtroppo per lui, la realtà descritta agli occhi di chi ne è stato telespettatore non calzava proprio. Sarà il suo modo di raccontare le cose, sarà l’ostentata superiorità di chi sa tutto e capisce tutto, ma non è riuscito a convincere che quella di giovedì non fosse una botola alla bene e meglio nascosta, la scelta di festeggiare la nuova vittoria del centrodestra usando l’artificiere Grillo e la miccia Sgarbi. Almeno Travaglio riuscisse lui pure a far ridere: ci ha provato ieri visto il contesto un paio di volte, ma non s’è discostato di molto dal suo leitmotiv di sempre, la tragedia.
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