
Ad Icarum salutatio
I.
Passano settimane di bonaccia
prima dell’ammaraggio
e Icaro, nel punto in cui è scomparso,
pare sentirlo, a volte,
quasi a due passi.
Ma un giorno si alza la brezza
tagliente dalle scogliere e le funeste
profezie dei rapaci cacciano
all’orizzonte un tiepido colore
di terriccio. Capita allora
un frammento delle sue penne
sul ponte di coperta, scalpellato
come un coltello di diamante,
filato come un liccio, sanguinante.
II.
Saltato sulle rocce,
Icaro ha impalmato penne di cera
più forti e prepara avvitamenti
spericolati e capovolte.
Essere metà uccello di fuoco
e metà di vetro nell’atmosfera
caliginosa, lui lo sa,
non è per tutti. Noi infatti
proviamo a seguirlo e invece eccolo
dietro, da un punto scoccare
il suo messaggio, nel suo dialetto
isolano, arcaico, e confonderlo
tra i flutti, nella schiuma, indecifrabile,
e lui hai voglia a gesticolare!
III.
Conosco una donna che lo guardava
scegliere sempre quel posto
e sorseggiare (assorto
nel suo candore) un Porto
prima di alzare, attorno, gli occhi.
Anche oggi un’aria nera,
una poltiglia di fumo
che a me sembra inchiostro
e assottiglia i piccoli graffi
lasciati su questo tavolo.
“Qui sono anche le sue iniziali”,
io le mostro, “ma domani
anche tu le avrai dimenticate,
e leggerai solo la data, come sugli epitaffi”.
Nessun commento:
Posta un commento