domenica 4 maggio 2008

La Libia batte cassa

Al cambio del manovratore, il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Saif El Islam, s’è fatto sentire, evidentemente con lo scopo di non far dimenticare il foraggiamento italiano alla Libia per la questione clandestini, e, dunque, in buona sostanza per batter cassa. Certo che ogni pretesa aggiuntiva da parte libica sfiora il paradosso dal momento che quel paese non riesce in maniera netta a bloccare il flusso di extracomunitari non voluti né richiesti via mare verso l’Italia. Arrivare a minacciare “ripercussioni catastrofiche nelle relazioni con l'Italia” se Calderoli tornerà a fare il ministro, se non fosse una seria ingerenza in “cosa nostra”, avrebbe il sapore di una battuta da cabaret, dove ad un Calderoli in maglietta gli si dà la battuta con un “vieni avanti cretino”.
Per aumentare il peso della gag la nota della Jana che ha scatenato il putiferio, ricordava la manifestazione di protesta scoppiata a Bengasi il 17 febbraio 2006 contro il Consolato italiano in seguito, appunto, alla maglietta con la vignetta anti-islamica mostrata dall'allora ministro delle Riforme durante un'intervista televisiva. I manifestanti furono affrontati dalla polizia in scontri che riportarono un bilancio di 11 morti. Nel testo dell’agenzia si leggeva: “La crisi è stata allora circoscritta, causando anche le dimissioni del ministro italiano. Ma in seguito alla vittoria della destra italiana nelle ultime elezioni, sono giunte voci sulla possibilità di ricandidare nuovamente quel ministro, che si considera il vero assassino dei cittadini libici morti in quell'occasione”. Se, insomma, vi sono oggi 11 libici in meno su questo pianeta è colpa del “mostro” Calderoli e delle sue cretinate e dunque la Libia, sola “vera” colpevole di quegli assurdi incidenti, ne chiede preventivamente la testa. Ma per piacere!
Il risultato principale, più eclatante, ottenuto dal figlio del leader libico con il suo sproloquio è stato quello di dare credibilità al tanto bistrattato Mario Borghezio, che replicando ha detto: “Le terribili minacce che giungono da Tripoli dimostrano che avevo visto giusto indicando la Libia come regista della strategia di invasione delle coste meridionali del nostro Paese. Per fortuna, grazie agli elettori, vi sarà finalmente nel nuovo governo la presenza significativa dei crociati della Lega Nord, in grado di combattere fermamente il pericolo del terrorismo jihadista e i suoi palesi e occulti sostenitori. L'Italia, grazie anche alla Padania, è un grande Paese e non si farà intimidire da chi semina sentimenti di odio contro di noi, contro la nostra religione e contro la nostra civiltà”.
Il problema alla base è che siamo un paese di imbecilli che bruciano le bandiere d’Israele ed americane pensando di fare chissà quale gesto epico e socialmente morale. E Saif El Islam, che sa bene che da noi la madre dei cretini è sempre incinta, fa la voce grossa e si permette ciò che nessuno da noi si è mai permesso di dire o fare nei riguardi della sua famiglia di governo.
Raccolgo alcune diverse posizioni che stigmatizzano a modo loro il gesto del figlio di Gheddafi, equiparabile, se la logica che vale fosse quella sua, al gesto di Calderoli del mettersi in maglietta in Tv.
Fabrizio Cicchitto ha dichiarato: “Sono del tutto inaccettabili intromissioni estere da qualunque parte provengano sulla formazione del governo del nostro Paese. In ogni caso ha impostato correttamente il problema il vicesegretario generale della Lega araba Ahmad Ben Helly il quale ha affermato che una posizione potrà essere presa dal mondo arabo solo alla luce della politica che farà il governo Berlusconi”.
Il ministro degli Esteri uscente, Massimo D'Alema, ha voluto – diciamo – ricordare ai Paesi arabi e mediterranei con i quali l'Italia intrattiene intensi e duraturi rapporti di amicizia e collaborazione, che la formazione e composizione del nuovo Governo è una questione interna, regolata da precise disposizioni costituzionali. Incredibile. Ma oggi, fedele al “ma anche” di Veltroni, ha precisato meglio il suo pensiero: “No alle ingerenze, ma no anche al Calderoli 2006”. E ti pareva. Un’altra bandiera bruciata.
Un comunicato, diffuso e firmato dal presidente Ucoii, Mahamed Nour dichiara che "le esternazioni di alcune personalità politiche estere sulla formazione del nuovo governo italiano" sono "un'indebita invasione di campo nelle questioni interne del nostro paese, oltretutto non rispettosa dei convenzionali canali diplomatici"; e conseguentemente "ogni interferenza proveniente da qualsivoglia Paese straniero nelle scelte di politica interna è da rigettare nell'interesse nazionale". Naturalmente Nour non si augura un ministro come Calderoli se si ritenga giusto tenere conto della questione islamica. Accettabile.
Ma il problema va al di là della questione in sé e se stigmatizzare o no l’ intollerabile ingerenza libica. Ciò che sembra essere in gioco, come si scrive nella rubrica “glialtrinoi” oggi su Repubblica, è «il rischio di incrinare i nostri rapporti con Gheddafi padre e, dunque, di far saltare l'accordo che prevede un'azione congiunta Roma-Tripoli per i pattugliamenti anti-migranti delle coste libiche [l’accordo è stato siglato a Tripoli dal ministro dell’Interno Giuliano Amato e dal ministro degli esteri libico Abdurrahman Mohamed Shalgam. Come ha riportato Liberazione il 31 dicembre dello scorso anno, “il negoziato con la Libia, specifica la scarna nota del ministero, è stato «lungo» ma soprattutto «riservato». E dunque non è dato sapere che cosa ha chiesto Gheddafi in cambio della cooperazione per fermare le decine di migliaia di migranti che attraversano la Libia per raggiungere l’Europa”]. In tal caso migliaia di uomini e di donne che ora si trovano in Libia si riverserebbero su Lampedusa. Disperati fuggiti dalla Somalia, dal Darfur, dall'Eritrea, dall'Etiopia, dalla Sierra Leone, dalla Liberia. Nazionalità che rappresentano il 60 per cento dei richiedenti asilo in Italia. Non solo immigrati economici, dunque, ma anche potenziali rifugiati politici». Il problema, quindi, è sempre lo stesso, il tema dell’immigrazione clandestina aggravato nel nostro Paese da una eccessiva tolleranza istituzionale non giustificata dal principio di solidarietà.

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