Altri morti sul lavoro. Le cronache riportano oggi la morte di un operaio specializzato mentre si occupava della manutenzione di un nastro trasportatore. Caduto da un'altezza di dieci metri circa, è morto sul colpo. L'incidente si è verificato in mattinata in una cava alla periferia di Monopoli, grosso centro a una cinquantina di chilometri a sud di Bari. Ieri sera, un operaio genovese, Carlo Raschellà, 52 anni, è morto in ospedale dopo essere rimasto vittima di un incidente sul lavoro avvenuto nel piazzale della ditta Ormig di Ovada. Muratore impegnato in alcuni lavori di ristrutturazione, stava manovrando un muletto quando il mezzo si è ribaltato e gli è rovinato addosso. Soccorso e trasportato in elicottero all'ospedale di Alessandria, è deceduto circa due ore dopo.
Le cronache sollecitate soprattutto dalla passata campagna elettorale hanno fatto e continuano a fare grancassa sul problema delle morti bianche. Lo annoto con sconsolata rassegnazione in quanto non è problema di oggi e nessun governo finora si è mai preoccupato di affrontarlo in maniera seria ed efficace. Stamattina mi è venuto per le mani un vecchio libro pubblicato dall’editore Alfani, “I mostri”, descritti da Pintor e disegnati da Pericoli, i vecchi corsivi del “manifesto” insomma. Tra questi c’è ne uno, “Bottiglie vuote”, del primo novembre 1972, che testimonia come l’acqua continui a passare sotto gli stessi ponti in un paesaggio immutabile.
«1971: 1.622.601 infortuni sul lavoro, 4.674 morti. Non c’è nulla di più «imbarazzante» di questa sfilza di cifre, di queste statistiche annuali. Per uscire dall’imbarazzo e cercare di renderle meno «aride» (come si dice), uno le «disaggrega» (come si dice): e allora vien fuori che ci sono 4.500 infortuni sul lavoro ogni giorno, ossia che ce n’è uno ogni 20 secondi, e che qualcuno muore sul lavoro o di lavoro ogni 2 ore. Non è una novità, ogni anno è la stessa cosa, con sottili variazioni in più o in meno, sulle quali l’Inail, gli esperti in scienze statistiche e i sociologi si sbizzarriscono. Segue la coda delle malattie professionali.
Ma se ogni giorno dodici operai muoiono sul lavoro, com’è che non se ne ha notizia ogni giorno? Questo è il particolare più «interessante» di tutti. Non sono solo i «grandi numeri», il bilancio annuale del macello industriale, a lasciare indifferenti (come il tonnellaggio delle bombe Usa in Vietnam). È anche la morte quotidiana. Qualche volta filtra, ma in generale non se ne sa niente: la morte fisica di un operaio fa meno notizia, sui giornali, di un alterco in una osteria, i suoi resti finiscono come una bottiglia vuota nel secchio della spazzatura. Il giornale di Agnelli, poi, non dà neanche le statistiche. Metà della sua prima pagina era impegnata ieri a far indignare i lettori contro la pirateria aerea, che fa tanto più notizia della pirateria terrestre dell’industria moderna, anche se fa senza dubbio meno morti. La prima infatti è anomala, viola le regole della convivenza e la sicurezza di tutti, e perciò fa sensazione. La seconda invece è normale, conferma le regole dello sfruttamento e della sicurezza di tutti meno che degli operai, e perciò lascia tutti indifferenti.»
Le cronache sollecitate soprattutto dalla passata campagna elettorale hanno fatto e continuano a fare grancassa sul problema delle morti bianche. Lo annoto con sconsolata rassegnazione in quanto non è problema di oggi e nessun governo finora si è mai preoccupato di affrontarlo in maniera seria ed efficace. Stamattina mi è venuto per le mani un vecchio libro pubblicato dall’editore Alfani, “I mostri”, descritti da Pintor e disegnati da Pericoli, i vecchi corsivi del “manifesto” insomma. Tra questi c’è ne uno, “Bottiglie vuote”, del primo novembre 1972, che testimonia come l’acqua continui a passare sotto gli stessi ponti in un paesaggio immutabile.
«1971: 1.622.601 infortuni sul lavoro, 4.674 morti. Non c’è nulla di più «imbarazzante» di questa sfilza di cifre, di queste statistiche annuali. Per uscire dall’imbarazzo e cercare di renderle meno «aride» (come si dice), uno le «disaggrega» (come si dice): e allora vien fuori che ci sono 4.500 infortuni sul lavoro ogni giorno, ossia che ce n’è uno ogni 20 secondi, e che qualcuno muore sul lavoro o di lavoro ogni 2 ore. Non è una novità, ogni anno è la stessa cosa, con sottili variazioni in più o in meno, sulle quali l’Inail, gli esperti in scienze statistiche e i sociologi si sbizzarriscono. Segue la coda delle malattie professionali.
Ma se ogni giorno dodici operai muoiono sul lavoro, com’è che non se ne ha notizia ogni giorno? Questo è il particolare più «interessante» di tutti. Non sono solo i «grandi numeri», il bilancio annuale del macello industriale, a lasciare indifferenti (come il tonnellaggio delle bombe Usa in Vietnam). È anche la morte quotidiana. Qualche volta filtra, ma in generale non se ne sa niente: la morte fisica di un operaio fa meno notizia, sui giornali, di un alterco in una osteria, i suoi resti finiscono come una bottiglia vuota nel secchio della spazzatura. Il giornale di Agnelli, poi, non dà neanche le statistiche. Metà della sua prima pagina era impegnata ieri a far indignare i lettori contro la pirateria aerea, che fa tanto più notizia della pirateria terrestre dell’industria moderna, anche se fa senza dubbio meno morti. La prima infatti è anomala, viola le regole della convivenza e la sicurezza di tutti, e perciò fa sensazione. La seconda invece è normale, conferma le regole dello sfruttamento e della sicurezza di tutti meno che degli operai, e perciò lascia tutti indifferenti.»
Nessun commento:
Posta un commento