giovedì 29 maggio 2008

"L'oro unto" di Norma Stramucci

Norma Stramucci (Recanati, 1957) ha pubblicato con Edizioni Tracce nel 1995 il libro di poesie “L’oro unto”. Scrive Massimo Raffaeli in una nota: «C’è uno spazio recludo, appena violato da tagli di luce calante, un perimetro di usuali esperienze, minime peripezie, domestiche; e c’è un privato repertorio di oggetti che quel filo di luce elettrizza, sfiorandoli, o smarrisce, sbadatamente trascurandoli. Presenze vicarie, cui è affidato l’alternarsi di euforia e depressione, percettibili come inopinate epifanie o piccoli sinistri autodafé. Oggetti che possono scampare oppure perdere ma dal cui reticolo non è lecito trascendere. Lo sguardo che ne insegue, più spesso ne indovina, la luminosità, il biancore, si sprigiona dal margine, vigila al margine, offeso e ancora irrequieto. Lì si definisce, in quel limite ingombro ed opaco prende identità, connettendosi a una voce, la parola di Norma Stramucci. Che si dà dissimulata negli oggetti, quasi per sottrazione, nel perfetto pudore di chi ancora si sente “uno spino di troppo”.»

Da “L’oro unto”


È un velo di tulle il manto della vita
dolce quanto quello
di una sposa che si spoglia.
E tutto è bianco ciò che non dura.


Un giorno appena sveglia ho visto
la vita come un mare, e nessuno a camminarci.
La voglia di restare un po’ sopra le cose
mi ci aveva condotta. Come un gabbiano
che sa fermarsi a pelo d’acqua
e rimanere asciutto, ogni tanto.


È l’erba del mio paese che non si vede
oggi che pure c’è da stare contenti:
i passeri hanno trovato la ciotola del cane,
sulla neve.


Vedo il cielo nel lavandino
fra i nuvoli del detersivo.
È il solo posto dove
io che non ho nemmeno un pozzo e uno stagno,
ho potuto mettere la luna.
E scivola la mano
sul panno che voglio bianco.


Quando è mattina, una per una
svaniscono le stelle:
a guardare bene vedresti
l’ultima nella mia tazza di latte,
lago tranquillo di porcellana sbiadito.

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