Ieri ho lasciato in sospeso un commento all’ultima parte del consueto articolo della domenica di Eugenio Scalfari. Riprendo qui i temi. Innanzitutto il “governo ombra”. Scalfari annota correttamente che il Pd non è l’unica opposizione in Parlamento, e, dunque, tutt’al più si dovrebbe parlare di “governi ombra”, al plurale. Fa capire insomma che lo shadow cabinet è solo una buffonata, una trovata “pubblicitaria” per mettere in ombra la concorrenza, che c’è tra i banchi dell’opposizione, “perché tutte le opposizione hanno il diritto di interloquire”. La cosa interessante è che Scalfari non vede in Veltroni l’anti Berlusconi di cui chi gli offre inchiostro e carta abbisognerebbe. E, dunque, propone l’unico possibile “oppositore”, istituzione contro istituzione, il Parlamento: “Oppure non si formalizzi nulla e si aumentino piuttosto i poteri di controllo del Parlamento in pari misura ai maggiori poteri che è giusto riconoscere al presidente del Consiglio, capo dell'Esecutivo”.
Nella sua visione centralista passa poi a lamentarsi che non esista più un Ministero della Sanità, “derubricato come parte del dicastero del «Welfare» affidato ad un sottosegretario o vice ministro che sia”, rimbrotta. Secondo Scalfaro, che non vede per nulla di buon occhio il decentramento regionale, “La derubricazione d'un ministero le cui attribuzioni sono sotto l'usbergo della Costituzione sotto forma del diritto alla salute di tutti i cittadini, è incomprensibile e inaccettabile”. Il vivacchiare delle regioni che con leggerezza in questi anni hanno scaricato la propria finanza allegra sullo Stato e, dunque, sui cittadini delle altre, sembra per il nostro causa degna per cui spezzare lance in suo favore: “Capisco che la derubricazione possa esser gradita ai presidenti delle Regioni più ricche ma proprio per mantenere la parità di prestazioni sanitarie secondo il bisogno e non secondo il reddito che la Costituzione sancisce, non si può abolire il ministero della Salute e disossare il Servizio sanitario nazionale”, appunto.
Come già in un post di qualche tempo fa annotavo la paura degli interessi forti che si adunano all’ombra di Scalfari è il federalismo ed il primo passo nella sua direzione, il federalismo fiscale. Meglio uno stato centrale che venti regioni con cui dover intrecciare rapporti tenendo oltretutto conto delle diversità e delle “tradizioni” politiche locali. E, dunque, la sanità è utile trampolino per lanciare l’invettiva: “Questa materia riporta l'attenzione sul federalismo fiscale, altro tema delicatissimo che fa parte di quelle riforme da fare insieme tra maggioranza ed opposizione”. Ed ecco come si agita il babau: “Bossi ha programmato da tempo la sua secessione dolce del Lombardo-Veneto basata su un federalismo fiscale spinto all'estremo e Berlusconi, Tremonti e Fini gli hanno dato carta bianca. Dove ci può portare questo salto nel buio in termini politici ed economici è ancora del tutto ignoto. I primi studi effettuati da economisti indipendenti mostrano squilibri fortissimi tra Nord e Sud, tra regioni ricche e regioni povere, tra entrate tributarie incassate e fonti di reddito che le generano”.
Ma , poiché dubita, visti i risultati elettorali, che siano in tanti a dargli retta, ecco che gioca un’altra carta, quella costituzionale. “Il federalismo fiscale si ripercuote anche su alcuni principi costituzionali, sul Senato federale, sulla composizione e i poteri della Corte Costituzionale. Se non ci sarà accordo su queste complesse e delicatissime questioni il governo dovrà procedere da solo e poiché non dispone della maggioranza necessaria per leggi di natura costituzionale dovrà ricorrere ad un referendum che spaccherebbe il Paese in due”. Scalfari evoca il fantasma del precedente referendum, che fu bocciato, più che per i contenuti, sull’onda del terrore tirannico evocato dalla sinistra, di cui sarebbe stata foriera l’eventuale vittoria del Cavaliere nero e sulle promesse di un paradiso terrestre per i ceti deboli, paradiso che nel volgere di qualche mese ha mostrato d’essere un novello inferno fiscale. La lezione, l’aver capito d’aver fatto un grossolano errore a fidarsi degli ultimi imbonitori d’un lontano passato allora speso in difesa dei deboli ed oppressi, ha portato la gente della strada a ridare il verde, questa volta senza se e senza ma, a Berlusconi. Può essere, ma non credo, che l’Italia si spaccherebbe in due sul quesito d’uno stato federale o centrale, non più.
E Scalfari conclude cercando di disturbare il sonno del Cavaliere con dilemmi ed incubi: “Ci pensi bene il neo-statista di Palazzo Chigi. Noi ci auguriamo che la sua sopravvenuta saggezza gli porti consiglio e gli dia la forza di far marciare i suoi alleati in accordo con lui anziché lui in accordo con loro. In caso contrario la strada sarà tutta in salita e non sarebbe un bene per un Paese che ha bisogno di crescere crescere crescere”. E poiché il tocco morale, chissà perché, quando si parla del/col Cavaliere non guasta mai, si sottolinea che il bisogno di crescita del Paese è principalmente morale, anzi “questa è ormai diventata la nostra principale emergenza”. Che sia la principale non so, che sia un’emergenza di sicuro, basta dare un’occhiata alla bufera giudiziaria sul Comune di Genova.
Nella sua visione centralista passa poi a lamentarsi che non esista più un Ministero della Sanità, “derubricato come parte del dicastero del «Welfare» affidato ad un sottosegretario o vice ministro che sia”, rimbrotta. Secondo Scalfaro, che non vede per nulla di buon occhio il decentramento regionale, “La derubricazione d'un ministero le cui attribuzioni sono sotto l'usbergo della Costituzione sotto forma del diritto alla salute di tutti i cittadini, è incomprensibile e inaccettabile”. Il vivacchiare delle regioni che con leggerezza in questi anni hanno scaricato la propria finanza allegra sullo Stato e, dunque, sui cittadini delle altre, sembra per il nostro causa degna per cui spezzare lance in suo favore: “Capisco che la derubricazione possa esser gradita ai presidenti delle Regioni più ricche ma proprio per mantenere la parità di prestazioni sanitarie secondo il bisogno e non secondo il reddito che la Costituzione sancisce, non si può abolire il ministero della Salute e disossare il Servizio sanitario nazionale”, appunto.
Come già in un post di qualche tempo fa annotavo la paura degli interessi forti che si adunano all’ombra di Scalfari è il federalismo ed il primo passo nella sua direzione, il federalismo fiscale. Meglio uno stato centrale che venti regioni con cui dover intrecciare rapporti tenendo oltretutto conto delle diversità e delle “tradizioni” politiche locali. E, dunque, la sanità è utile trampolino per lanciare l’invettiva: “Questa materia riporta l'attenzione sul federalismo fiscale, altro tema delicatissimo che fa parte di quelle riforme da fare insieme tra maggioranza ed opposizione”. Ed ecco come si agita il babau: “Bossi ha programmato da tempo la sua secessione dolce del Lombardo-Veneto basata su un federalismo fiscale spinto all'estremo e Berlusconi, Tremonti e Fini gli hanno dato carta bianca. Dove ci può portare questo salto nel buio in termini politici ed economici è ancora del tutto ignoto. I primi studi effettuati da economisti indipendenti mostrano squilibri fortissimi tra Nord e Sud, tra regioni ricche e regioni povere, tra entrate tributarie incassate e fonti di reddito che le generano”.
Ma , poiché dubita, visti i risultati elettorali, che siano in tanti a dargli retta, ecco che gioca un’altra carta, quella costituzionale. “Il federalismo fiscale si ripercuote anche su alcuni principi costituzionali, sul Senato federale, sulla composizione e i poteri della Corte Costituzionale. Se non ci sarà accordo su queste complesse e delicatissime questioni il governo dovrà procedere da solo e poiché non dispone della maggioranza necessaria per leggi di natura costituzionale dovrà ricorrere ad un referendum che spaccherebbe il Paese in due”. Scalfari evoca il fantasma del precedente referendum, che fu bocciato, più che per i contenuti, sull’onda del terrore tirannico evocato dalla sinistra, di cui sarebbe stata foriera l’eventuale vittoria del Cavaliere nero e sulle promesse di un paradiso terrestre per i ceti deboli, paradiso che nel volgere di qualche mese ha mostrato d’essere un novello inferno fiscale. La lezione, l’aver capito d’aver fatto un grossolano errore a fidarsi degli ultimi imbonitori d’un lontano passato allora speso in difesa dei deboli ed oppressi, ha portato la gente della strada a ridare il verde, questa volta senza se e senza ma, a Berlusconi. Può essere, ma non credo, che l’Italia si spaccherebbe in due sul quesito d’uno stato federale o centrale, non più.
E Scalfari conclude cercando di disturbare il sonno del Cavaliere con dilemmi ed incubi: “Ci pensi bene il neo-statista di Palazzo Chigi. Noi ci auguriamo che la sua sopravvenuta saggezza gli porti consiglio e gli dia la forza di far marciare i suoi alleati in accordo con lui anziché lui in accordo con loro. In caso contrario la strada sarà tutta in salita e non sarebbe un bene per un Paese che ha bisogno di crescere crescere crescere”. E poiché il tocco morale, chissà perché, quando si parla del/col Cavaliere non guasta mai, si sottolinea che il bisogno di crescita del Paese è principalmente morale, anzi “questa è ormai diventata la nostra principale emergenza”. Che sia la principale non so, che sia un’emergenza di sicuro, basta dare un’occhiata alla bufera giudiziaria sul Comune di Genova.
Nessun commento:
Posta un commento