È notizia di ieri che la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta dopo la pubblicazione sulla rete degli elenchi relativi alle denunce irpef degli italiani. Il reato ipotizzato dalla Procura è la violazione dell'articolo della legge sulla privacy che punisce il trattamento illecito dei dati personali. Secondo il magistrato Franco Ionta, dicono le cronache, la divulgazione delle informazioni in maniera indiscriminata ha determinato un'esposizione a rischio delle persone. Sotto accusa, cioè, sarebbe il modo in cui sono stati pubblicati i dati, la cui accessibilità è regolamentata dalle norme. Una loro pubblicazione in modo indiscriminato non sarebbe consentita e potrebbe causare dei problemi ai titolari dei 730 e dei 740.
La Procura di Roma ha affidato alla polizia postale gli accertamenti e l’acquisizione, presso l'Agenzia delle Entrate, di tutta la documentazione relativa alla pubblicazione dei dati. In particolare, si vuole identificare chi abbia disposto la messa in rete dei dati ricostruendo tutti i passaggi della decisione che, secondo il viceministro Vincenzo Visco, è stata presa in applicazione della legge.
E mentre i dati, immessi in rete, sono ormai diventati ingovernabili, tutti sono stati avvertiti che sarà perseguito penalmente e rischia anche la galera chi userà i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi facendone un uso improprio. Un avvertimento che rischia di avere scarse ricadute pratiche visto l'enorme numero di persone che hanno utilizzato i dati e la facilità di circolazione in rete. La questione comunque non è da poco e da sottovalutare. Si è dato insomma, l’aspetto peggiore, in mano alla delinquenza organizzata la possibilità di fare uno screening mirato, semplice ed in pantofole, su possibili obiettivi per furti in ville e altri reati. Anche e soprattutto fuori dall’Italia, perché la rete mica si ferma alle vecchie dogane. Non per bastonarci sulle palle né per gridare inutilmente al lupo, ma non meraviglierebbe un nuovo genere di turismo “a colpo sicuro” nei prossimi mesi.
Intanto, c’è stato detto, il Garante della privacy ha stretto i tempi e fissato entro domani il termine ultimo in cui l'Agenzia delle Entrate dovrà chiarire il senso della decisione. Ormai, una discussione accademica. Internet si è appropriata per sempre dei dati irpef 2005 degli italiani. Qualcuno subito ha copiato i file (in formato testo) e li ha messi su reti peer to peer raggiungibili con il programma eMule. Tutti possono scaricarli da lì, basta digitare il codice fiscale della città. Altri li hanno messi su siti come Rapidshare e poi hanno pubblicato i link sui propri blog. In tanti nei blog hanno preso le difese di Vincenzo Visco: "poche ore di trasparenza e civiltà, in un Paese di omertosi e mafiosi", ma anche di coglioni. E mi spiego.
Al di là del risvolto d’aver sollecitato probabilmente appetiti di vecchi e nuovi barbari, di cui s’è detto, non c’è dato più facile da manipolare del dato digitale. Mancando un’autorità, come l’Agenzia delle Entrate, che da notaio garantirebbe la bontà dei dati, avendoli essa tolti dalla consultazione diretta, chi può ora garantire che i dati che circolano in rete siano quelli reali? Nessuno. Un nuovo sport è aperto: manipolarli per vedere, una statistica, quanti sono i boccaloni italiani.
"Se si volevano avvelenare i pozzi, e questo era il motivo, i pozzi sono stati avvelenati. Questo è un problema grossissimo che adesso passa nelle mani del governo che si insedierà tra poco". Aveva detto subito l’ex comandante generale della Guardia di Finanza, Roberto Speciale, adesso senatore del Pdl, che, dopo aver paventato il rischio d’essere minacciati dal "pizzo, dai ricatti e da eventuali sequestri di persona", aggiungeva: "Hanno messo i poveri cittadini in piazza, spiabili da parte di tutti, così aumenteranno le delazioni. Hanno messo gli italiani in un mare di guai". Ma anche dalla sinistra radicale erano arrivate critiche come quella di Marco Rizzo dei Comunisti italiani: "Pubblicare i redditi online mi è sembrato una paradigma dell'ultimo centrosinistra: inefficace e antipatico".
La Procura di Roma ha affidato alla polizia postale gli accertamenti e l’acquisizione, presso l'Agenzia delle Entrate, di tutta la documentazione relativa alla pubblicazione dei dati. In particolare, si vuole identificare chi abbia disposto la messa in rete dei dati ricostruendo tutti i passaggi della decisione che, secondo il viceministro Vincenzo Visco, è stata presa in applicazione della legge.
E mentre i dati, immessi in rete, sono ormai diventati ingovernabili, tutti sono stati avvertiti che sarà perseguito penalmente e rischia anche la galera chi userà i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi facendone un uso improprio. Un avvertimento che rischia di avere scarse ricadute pratiche visto l'enorme numero di persone che hanno utilizzato i dati e la facilità di circolazione in rete. La questione comunque non è da poco e da sottovalutare. Si è dato insomma, l’aspetto peggiore, in mano alla delinquenza organizzata la possibilità di fare uno screening mirato, semplice ed in pantofole, su possibili obiettivi per furti in ville e altri reati. Anche e soprattutto fuori dall’Italia, perché la rete mica si ferma alle vecchie dogane. Non per bastonarci sulle palle né per gridare inutilmente al lupo, ma non meraviglierebbe un nuovo genere di turismo “a colpo sicuro” nei prossimi mesi.
Intanto, c’è stato detto, il Garante della privacy ha stretto i tempi e fissato entro domani il termine ultimo in cui l'Agenzia delle Entrate dovrà chiarire il senso della decisione. Ormai, una discussione accademica. Internet si è appropriata per sempre dei dati irpef 2005 degli italiani. Qualcuno subito ha copiato i file (in formato testo) e li ha messi su reti peer to peer raggiungibili con il programma eMule. Tutti possono scaricarli da lì, basta digitare il codice fiscale della città. Altri li hanno messi su siti come Rapidshare e poi hanno pubblicato i link sui propri blog. In tanti nei blog hanno preso le difese di Vincenzo Visco: "poche ore di trasparenza e civiltà, in un Paese di omertosi e mafiosi", ma anche di coglioni. E mi spiego.
Al di là del risvolto d’aver sollecitato probabilmente appetiti di vecchi e nuovi barbari, di cui s’è detto, non c’è dato più facile da manipolare del dato digitale. Mancando un’autorità, come l’Agenzia delle Entrate, che da notaio garantirebbe la bontà dei dati, avendoli essa tolti dalla consultazione diretta, chi può ora garantire che i dati che circolano in rete siano quelli reali? Nessuno. Un nuovo sport è aperto: manipolarli per vedere, una statistica, quanti sono i boccaloni italiani.
"Se si volevano avvelenare i pozzi, e questo era il motivo, i pozzi sono stati avvelenati. Questo è un problema grossissimo che adesso passa nelle mani del governo che si insedierà tra poco". Aveva detto subito l’ex comandante generale della Guardia di Finanza, Roberto Speciale, adesso senatore del Pdl, che, dopo aver paventato il rischio d’essere minacciati dal "pizzo, dai ricatti e da eventuali sequestri di persona", aggiungeva: "Hanno messo i poveri cittadini in piazza, spiabili da parte di tutti, così aumenteranno le delazioni. Hanno messo gli italiani in un mare di guai". Ma anche dalla sinistra radicale erano arrivate critiche come quella di Marco Rizzo dei Comunisti italiani: "Pubblicare i redditi online mi è sembrato una paradigma dell'ultimo centrosinistra: inefficace e antipatico".
Del resto la “fretta” nella pubblicazione – tant’è che Mauro Paissan ha quasi urlato per far capire bene la posizione del Garante della privacy: "No, no, no. Non eravamo informati e perciò non abbiamo potuto dare un consenso. Su questa novità non sapevamo assolutamente nulla, l'abbiamo saputo da qualche giornale e agenzia di stampa" – mal si giustifica con quanto finora spiegato dai comunicati dell’Agenzia: ''La predisposizione degli elenchi nominativi dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi è prevista dall'articolo 69 del Dpr numero 600 del 1973. Si tratta di una norma che nella attuale formulazione è stata introdotta nel 1991. In vigore, quindi, da molti anni. Analogo adempimento è previsto dall'articolo 66 bis del Dpr numero 633 del 1972 per la predisposizione degli elenchi dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione annuale Iva''. Ma allora non c’era Internet, e, dunque, un minimo di riflessione forse non avrebbe fatto male, e magari aspettare l’insediamento del nuovo governo non era cosa poi così peregrina. Vien da chiedersi – è lecito – quante e quali altre trappole e mine anticavaliere siano state predisposte nei corridoi dello Stato.
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