Riprendo dal “Corriere della Sera” del 27 aprile scorso un articolo di Marisa Fumagalli, che mette a nudo la speculazione post-comunista (leggi Violante, Fassino, Napolitano e qualche altro) e post-fascista (l’elenco è una guida telefonica) sulle foibe e sulla pulizia etnica inventata a posteriori dai revanscisti e sposata a sinistra per farsi una verginità storico-politica agli occhi dell’elettorato fallimentarmente inseguito del centrodestra.
Il caso. Lo scrittore triestino-sloveno pone il problema delle responsabilità per la pulizia etnica
Pahor riapre la polemica sulle foibe
«Silenzi sugli eccidi del Duce: potrei dire no a un'onorificenza della Repubblica»
Trieste – La reazione «politicamente scorretta» di un grande vecchio della letteratura di confine, scoperto e acclamato in tempi troppo recenti, resuscita i fantasmi del passato e crea un «caso imprevisto », mettendo perfino in imbarazzo le istituzioni. Succede, dunque, che Boris Pahor, nato a Trieste nel 1913, sloveno ma di cittadinanza italiana («me la imposero, durante la dittatura di Mussolini»), sulla cresta dell'onda perché il suo libro Necropoli, scritto quarant'anni fa nella lingua madre, è stato tradotto, rivelandoci l'esperienza più drammatica della sua vita (la detenzione nel lager nazista di Natweller- Struthof) oltre alle sue qualità di letterato, abbia quasi preventivamente rifiutato una proposta di onorificenza. «Stenterei ad accettarla — ha detto — da un presidente della Repubblica che ricorda soltanto le barbarie commesse dagli sloveni alla fine della Seconda guerra mondiale, ma non cita le precedenti atrocità dell'Italia fascista contro di noi». L'amarezza di Pahor nasce dal fatto che il capo dello Stato, nel Giorno del ricordo del 2007 ed anche nel febbraio scorso, non citò «le fucilazioni degli ostaggi sloveni e i crimini dei campi di concentramento italiani». Sottacendo così una parte di storia. «Il suo mi sembra un giudizio eccessivo, uno sguardo troppo stretto sulle parole di Napolitano», commenta, con un certo disagio, colui che ha avuto l'idea di premiare Pahor. È il sottosegretario (uscente) agli Interni, Ettore Rosato (Pd), che, durante la cerimonia del 25 Aprile, alla Risiera di San Sabba, ha pensato di compiere un bel gesto annunciando l'iter per il riconoscimento onorifico. Aggiunge: «Il Giorno del ricordo è dedicato alle foibe, su quella tragedia mise l'accento il Presidente. Di antifascismo si è parlato tante volte». E il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza (Pdl), pur apprezzando lo spirito libero di Pahor, «intellettuale onesto», invita a superare il passato, forte del processo di pacificazione tra sloveni e italiani. Il grande vecchio è d'accordo, ma nel merito della polemica non arretra di un millimetro. «Qui, nella Venezia Giulia, il clima, certo, è rasserenato — osserva —. Ciò mi sta bene. Ma la storia è storia. E non è accettabile che il capo dello Stato pronunci, come ha fatto, a proposito della tragedia delle foibe, parole che rievocano "i delinquenti sanguinari slavi" senza dar conto dell'oppressione fascista, della barbarie etnica, che la precedettero. Inoltre — continua — Napolitano sa bene che i comunisti italiani, allora, erano complici. Che furono loro a dare ai partigiani jugoslavi i nomi di coloro che andavano eliminati ». Espressioni forti, nette. «Non posso distruggere metà della mia gioventù», riflette Pahor. Poi torna sulle ombre del passato che, oggi, la politica tenta di
dissipare: «Ricordo bene quando, tempo fa, vennero a Trieste Luciano Violante e Gianfranco Fini. Si misero d'accordo, nel non attaccarsi a vicenda... Comunque sia, le mie condizioni per un'eventuale onorificenza sono queste: dev'essere citato non solo il mio libro Necropoli, ma anche le altre opere letterarie. Il rogo nel porto, per esempio. Dove si raccontano i crimini fascisti. Chiedo — conclude — che l'espressione crimini fascisti venga scritta, nero su bianco». Arriverà o no per Pahor il cavalierato della Repubblica? Vedremo. Candidato al Nobel, lo scrittore triestino l'anno scorso fu insignito della Legion d'Onore di Francia, Paese dove, da tempo, è una celebrità. Ora è il suo momento italiano: per lui si prospetta un'altra onorificenza. Elido Fazi, editore di Necropoli, ha promosso una raccolta di firme, affinché gli venga attribuita, nell'ambito dello Strega, la «menzione d'onore». Il premio non potrebbe vincerlo. Il regolamento prevede che le opere in concorso siano scritte in lingua italiana.
“La storia è storia”, dice Pahor. Peccato che molti in Italia, che sostengono le loro iniziative revansciste e sostanzialmente false, perché quantomeno parziali, spesso direttamente o indirettamente con soldi pubblici, che ricevono medaglie nonostante il loro passato fascista, che s’inventano numeri inesistenti o indimostrabili per amplificare questioni, tale tautologia non vogliano riconoscerla e continuino per contro ad affannarsi a scrivere e sostenere un’altra storia, sostanzialmente negata dai fatti che la ricerca storiografica sta mettendo nero su bianco.
Il caso. Lo scrittore triestino-sloveno pone il problema delle responsabilità per la pulizia etnica
Pahor riapre la polemica sulle foibe
«Silenzi sugli eccidi del Duce: potrei dire no a un'onorificenza della Repubblica»
Trieste – La reazione «politicamente scorretta» di un grande vecchio della letteratura di confine, scoperto e acclamato in tempi troppo recenti, resuscita i fantasmi del passato e crea un «caso imprevisto », mettendo perfino in imbarazzo le istituzioni. Succede, dunque, che Boris Pahor, nato a Trieste nel 1913, sloveno ma di cittadinanza italiana («me la imposero, durante la dittatura di Mussolini»), sulla cresta dell'onda perché il suo libro Necropoli, scritto quarant'anni fa nella lingua madre, è stato tradotto, rivelandoci l'esperienza più drammatica della sua vita (la detenzione nel lager nazista di Natweller- Struthof) oltre alle sue qualità di letterato, abbia quasi preventivamente rifiutato una proposta di onorificenza. «Stenterei ad accettarla — ha detto — da un presidente della Repubblica che ricorda soltanto le barbarie commesse dagli sloveni alla fine della Seconda guerra mondiale, ma non cita le precedenti atrocità dell'Italia fascista contro di noi». L'amarezza di Pahor nasce dal fatto che il capo dello Stato, nel Giorno del ricordo del 2007 ed anche nel febbraio scorso, non citò «le fucilazioni degli ostaggi sloveni e i crimini dei campi di concentramento italiani». Sottacendo così una parte di storia. «Il suo mi sembra un giudizio eccessivo, uno sguardo troppo stretto sulle parole di Napolitano», commenta, con un certo disagio, colui che ha avuto l'idea di premiare Pahor. È il sottosegretario (uscente) agli Interni, Ettore Rosato (Pd), che, durante la cerimonia del 25 Aprile, alla Risiera di San Sabba, ha pensato di compiere un bel gesto annunciando l'iter per il riconoscimento onorifico. Aggiunge: «Il Giorno del ricordo è dedicato alle foibe, su quella tragedia mise l'accento il Presidente. Di antifascismo si è parlato tante volte». E il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza (Pdl), pur apprezzando lo spirito libero di Pahor, «intellettuale onesto», invita a superare il passato, forte del processo di pacificazione tra sloveni e italiani. Il grande vecchio è d'accordo, ma nel merito della polemica non arretra di un millimetro. «Qui, nella Venezia Giulia, il clima, certo, è rasserenato — osserva —. Ciò mi sta bene. Ma la storia è storia. E non è accettabile che il capo dello Stato pronunci, come ha fatto, a proposito della tragedia delle foibe, parole che rievocano "i delinquenti sanguinari slavi" senza dar conto dell'oppressione fascista, della barbarie etnica, che la precedettero. Inoltre — continua — Napolitano sa bene che i comunisti italiani, allora, erano complici. Che furono loro a dare ai partigiani jugoslavi i nomi di coloro che andavano eliminati ». Espressioni forti, nette. «Non posso distruggere metà della mia gioventù», riflette Pahor. Poi torna sulle ombre del passato che, oggi, la politica tenta di
dissipare: «Ricordo bene quando, tempo fa, vennero a Trieste Luciano Violante e Gianfranco Fini. Si misero d'accordo, nel non attaccarsi a vicenda... Comunque sia, le mie condizioni per un'eventuale onorificenza sono queste: dev'essere citato non solo il mio libro Necropoli, ma anche le altre opere letterarie. Il rogo nel porto, per esempio. Dove si raccontano i crimini fascisti. Chiedo — conclude — che l'espressione crimini fascisti venga scritta, nero su bianco». Arriverà o no per Pahor il cavalierato della Repubblica? Vedremo. Candidato al Nobel, lo scrittore triestino l'anno scorso fu insignito della Legion d'Onore di Francia, Paese dove, da tempo, è una celebrità. Ora è il suo momento italiano: per lui si prospetta un'altra onorificenza. Elido Fazi, editore di Necropoli, ha promosso una raccolta di firme, affinché gli venga attribuita, nell'ambito dello Strega, la «menzione d'onore». Il premio non potrebbe vincerlo. Il regolamento prevede che le opere in concorso siano scritte in lingua italiana.
“La storia è storia”, dice Pahor. Peccato che molti in Italia, che sostengono le loro iniziative revansciste e sostanzialmente false, perché quantomeno parziali, spesso direttamente o indirettamente con soldi pubblici, che ricevono medaglie nonostante il loro passato fascista, che s’inventano numeri inesistenti o indimostrabili per amplificare questioni, tale tautologia non vogliano riconoscerla e continuino per contro ad affannarsi a scrivere e sostenere un’altra storia, sostanzialmente negata dai fatti che la ricerca storiografica sta mettendo nero su bianco.
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