sabato 29 novembre 2008

Una grande manovra dice l'ombra del Cavaliere

Da “Il Tempo” di oggi riprendo l’articolo di Fabrizio dell’Orefice intitolato (occhiello, titolo e sottotitolo): “II braccio destro del premier si lascia andare durante il pranzo alla buvette. L’ombra del Cavaliere: «Aiutiamo chi ha bisogno». Il colloquio. Giacomoni: «I primi in Europa a fare un decreto»”.

Alle tre del pomeriggio di venerdì la Camera è pressoché deserta. C’è un solo deputato alla buvette. È Sestino Giacomoni, l’ombra (assieme a Valentino Valentini) di Silvio Berlusconi. Sestino, come semplicemente lo chiamano tutti, non parla mai. È il suggeritor cortese. Per anni è stato l’uomo di Antonio Marzano. Poi il Cavaliere l’ha voluto con sé a Chigi e Grazioli. A fine Consiglio dei ministri mangia, anzi tracanna, un panino e subito dopo una banana. «II mio pranzo», sospira Giacomoni che non ha avuto neanche il tempo di togliersi il giubotto Moncler. Fuori piove, lui prova rilassarsi dopo la tensione di questi giorni. E riflette: «È stata una grande Manovra. Anche il presidente lo diceva. Siamo intervenuti immediatamente affinché nessuna banca fallisse e nessuna banca è fallita. Siamo intervenuti perché le banche avessero liquidità non per loro ma per le imprese e così è stato. Adesso abbiamo preso un provvedimento per aiutare chi davvero ha bisogno».
Si ferma un attimo, ordina un caffè. D’accordo, però forse è un po’ pochino... «Pochino - attacca Giacomoni -? La situazione è quella che è. Ma voglio dire una cosa. Ci sono Paesi che hanno un debito pubblico ben più basso del nostro. Eppure siamo stati i primi, anche stavolta, a fare un decreto. Lo hanno fatto Merkel e Sarkozy? E adesso, scusi, devo andare. Il mio minuto e mezzo per il pranzo è terminato».
E inforca la porta d’uscita. Tocca seguirlo, uno degli uomini più vicini al Cav percorre a passo svelto, quasi di corsa il Transatlantico sul tappeto rosso centrale. «E poi i mutui - insiste -. È un intervento importantissimo. Legga bene il testo, aiuterà tutti coloro che hanno fatto un mutuo non a tasso fisso. Se si va sopra il 4%, il resto se lo accolla lo Stato. Certo, c’era il rischio che si finisse con il non premiare chi è stato prudente. Ma noi confidiamo che i tassi scendano nel 2009. Sicuramente a breve, E certamente non saliranno dopo. Intanto abbiamo dato un bell’aiuto a una gran fetta di italiani».
Tappa alla toilette per una rapida lavata di mani. Ancora il corridoio a passo svelto. Altra obiezione: è la manovra Tremonti. Giacomoni non si gira neppure, mormora: «È il ministro dell’Economia... E ora scusi, devo lasciarla. Devo andare al bancomat, non ho più in tasca neanche un euro». E allora bisogna riprovare con una piccola provocazione: diciamo che è più la manovra di Tremonti che di Berlusconi. Ma Giacomoni non ci casca: «Sono il ministro dell’Economia e il presidente del Consiglio». E va bene, sta di fatto che la detassazione delle tredicesime non c’è nel decreto. «Ancora con questa storia - riprende il deputato pidiellino -. Tremonti l’ha detto subito che costava otto miliardi. Berlusconi l’ha sempre avuto chiaro, non si è mai sbilanciato. Non era possibile farlo a tutti. Si poteva fare solo ad alcune categorie? E con quale criterio si sceglievano?». E che cosa si poteva fare? «Quello che abbiamo fatto, abbiamo aiutato davvero chi non ce la fa. Il Pd ha insistito tanto sulle tredicesime, qualcuno dei nostri c’è andato dietro. Ma non c’erano le risorse. E poi, sarebbe davvero servito? Secondo i nostri studi gli interventi per i più deboli possono incidere sui consumi. Il ceto medio tende a risparmiare in situazioni come queste».
Ancora corridoio. Nuovo interrogativo: ma Berlusconi è riuscito ad incidere? «Che domande. Ma se ancora stamattina, assieme a La Russa, ha fatto inserire anche i premi di produzione per i militari... E ha fatto alzare il tetto a 35mila curo, prima era a 30mila. O sbaglio? Sa quante famiglie in più sono?».
Tappa alle caselle postali, quella di Giacomoni trabocca di carte. Ci sono ben quattro giornaletti di partito o affini. Lui alza gli occhi: «E poi mi dite che non c’è da tagliare?». C’è una lettera di Fini che invita a fare versamenti per Telethon, Giacomoni la mette da parte: «Ecco, questo è giusto». C’è un invito di un sindacato per .un convegno, lui sorride amaro: «Va bene la difesa dei lavoratori, ma queste iniziative collaterali? Chi le paga?». Ci sono richieste da deputati del Pd, una rassegna stampa, un invito della Bindi. Un invito all’Università. Giacomoni riattacca: «Ha visto cosa è successo? I tg ci hanno raccontato che era scoppiato un nuovo ‘68, al primo voto la sinistra ha perso. Ma si rende conto? La crisi, la crisi, la crisi: bisognerebbe raccontare solo la verità».
E via, nuovo corridoio. «Ora devo proprio andare, arrivederci».

Una panoramica sulle misure anticrisi prese dal Cdm

Per quanto concerne i provvedimenti presi dal Consiglio dei Ministri, riporto da “La Stampa” di oggi l’articolo di Alessandro Barbera “Bonus-tredicesima a 8 milioni di famiglie. Sui mutui variabili tetto al 4% e aggancio ai tassi Bce”.

Trentacinque articoli, quasi 60 pagine di norme fittissime e minuziose, circa sei miliardi di euro complessivi. La manovra è così complicata che quando all’ora di pranzo Giulio Tremonti scende in sala stampa per presentare il provvedimento anti-crisi del governo, si mette in maniche di camicia e parla per quasi due ore. Il ministro dell’Economia parla di «sette strumenti» messi a disposizione per affrontare una crisi che «non è ciclica»: «Detassazione, trasferimenti netti, risparmi sottoforma di minori costi, finanziamenti, garanzie, investimenti, accelerazione di alcuni tipi di investimenti». Dentro c’è di tutto: dal bonus famiglie che arriverà a gennaio ad una complicato meccanismo di rivalutazione contabile dei beni delle imprese, dal blocco delle tariffe alla norma che riporterà i tassi sui mutui a tasso variabile al loro valore originario. È una mini-manovra economica: ci sono nuove entrate e nuove spese: fra le prime, oltre alle rivalutazioni (che finanzieranno il bonus per le famiglie), un aumento della tassazione per i servizi televisivi digitali, la introduzione della vecchia porno-tax (norma che già esisteva ma mai attuata), una stretta sui controlli fiscali sulle grandi imprese. Fra le spese ci sono l’aumento per circa un miliardo dei fondi per finanziare la cassa integrazione in deroga (sarà estesa ai precari), l’eventuale copertura dello Stato per gli aumenti dei mutui delle famiglie, ma anche altre voci: 960 milioni per le Ferrovie, 65 milioni a favore della ristrutturazione della Tirrenia, 110 milioni per i lavoratori socialmente utili della scuola.
La parte che più sta a cuore del governo è quella che riguarda gli aiuti alle famiglie: anzitutto il bonus da 200 a 1000 euro per le famiglie fino a 22mila euro di reddito, soglia che sale fino a 35.000 se in famiglia c’è un portatore di handicap. Secondo i calcoli del governo, sarà distribuito fra otto milioni di italiani. Poi la norma sui mutui, modificata in corsa all’ultimo momento. In buona sostanza le famiglie con mutuo a tasso variabile potranno ottenere di pagare un ribasso fino al limite di Euribor al 4%. Ancora: c’è la conferma della detassazione del salario di produttività (non degli straordinari) che, su pressione dei ministri La Russa e Maroni viene allargato a tutte le forze dell’ordine; il blocco delle tariffe per tutto il 2009, tranne che per l’acqua. In alcuni casi le bollette scenderanno spontaneamente (quelle energetiche) per via del calo del prezzo del petrolio, in altri casi il governo ha imposto una moratoria, che per le autostrade varrà 4 mesi. Anche nel caso dell’energia ci sarà però un intervento «spintaneo»: il ministro leghista Roberto Calderoli ha presentato un complicato intervento per allineare i costi industriali dell’elettricità.
Le imprese più piccole (si ipotizza sino a 200mila euro di fatturato) potranno contare su una norma che sposterà gli oneri Iva al momento dell’incasso, tutte insieme avranno una detassazione dell’Irap dalla base imponibile Ires. Slitta invece ancora una volta il provvedimento salva-banche: nella manovra c’è la «cornice generale» dell’intervento, ma sul tipo di obbligazioni da emettere tutto è rimandato ad un decreto ministeriale del Tesoro. Infine c’è il capitolo infrastrutture, caro soprattutto a Berlusconi. Due le novità principali: è stato introdotto il principio per il quale verrà impedito di bloccare le opere pubbliche con ricorsi ai tribunali; se dovesse accadere, l’opera procederà, salvo risarcire il danno al ricorrente in caso di vittoria di fronte al giudice. Arriva inoltre il commissario ad hoc per le opere pubbliche: vigilerà sul rispetto dei tempi in tutte le fasi realizzative delle grandi opere pubbliche.

Il non-dittatore Silvio riapre a Walter

La mia piccola rassegna stampa di oggi si apre con questo articolo di Salvatore Dama su “Libero”: “I piani di Berlusconi. Silvio chiama Walter «Proviamo a parlare». Il Cavaliere: non sono un dittatore, basta propaganda”.

Va via. Lascia ai suoi ministri lo spazio per spiegare il pacchetto di misure anti-crisi («Non sono un dittatore», ironizza ma neanche tanto). Poi due giri d’orologio e Silvio Berlusconi ritorna in sala stampa. A sorpresa. E piazza la notizia del giorno. Il muro contro muro con la minoranza? Roba del giorno prima. Oggi il presidente del Consiglio è animato da altro spirito. Rivolge un appello: «Voglio fare un invito anche all’opposizione», esordisce. Che senso ha, ragiona Berlusconi, «a quattro anni e mezzo dalle prossime elezioni» una contrapposizione così aspra?Allora, propone il Cavaliere, «si cessi di essere sempre in campagna elettorale e ci si metta tutti insieme, se possibile, per dare una mano e guardare come stella polare all’interesse di tutti».
Il Silvio dialogante è la novità del giorno. Anzi del momento. Perché anche in apertura di conferenza stampa, due ore prima, il Cavaliere non era stato tenero con la sinistra. Ricordando la «pesante eredità ricevuta» dal governo precedente. Non è una novità invece la velocità con cui il consiglio dei ministri vara il pacchetto anticrisi. C’erano voluti sette minuti per approvare la manovra economica, ieri ne sono bastati «dieci», rivendica con orgoglio Silvio, «per varare il decreto anticrisi». E ciò «grazie a un approfondito e importante lavoro preparatorio» fatto da tutti i ministri e, in particolare, dal titolare dell`Economia Giulio Tremonti. Non nomina esplicitamente Guglielmo Epifani, leader della Cgil con un piede già in piazza, ma l’invito al dialogo del premier è rivolto anche ai sindacati, certo. Il governo, spiega, «tutto quello che poteva fare l’ha fatto». Come affrontare la crisi? A parte le misure dell’esecutivo, ci vogliono due cose: «La fiducia e la buona volontà dei cittadini», elenca Berlusconi. Sono loro, mettendo in moto i consumi, che determineranno «la profondità temporale della crisi». Per questo «bisogna guardare al futuro con grande speranza». Il presidente del Consiglio predica «ottimismo». E ricorda che il suo è «il primo governo in Europa che ha varato misure a sostegno delle banche. Seguiti poi da molti altri Paesi. Ed ora siamo i primi a varare un provvedimento a sostegno delle famiglie, delle imprese e dell’economia». Infine i numeri. Le misure anti-crisi valgono, nel complesso, 80 miliardi di euro, 16,6 vanno alle infrastrutture, 2,4 al bonus per le famiglie povere. Il tutto, assicura Berlusconi, «senza toccare la finanziaria» e in modo da «garantire che entro il 2011 il debito pubblico scenda sotto il 100 per cento del Pil». Berlusconi chiude con una frecciata. Non alla sinistra, ma al suo alleato Gianfranco Fini. Il presidente della Camera paventa il rischio di cesarismo in politica? Lui, cedendo la parola a Tremonti, non ci sta: «Vado via, così dimostro che non sono un dittatore...».

Di tutto di più di ieri

Le cose da annotare di ieri 28 novembre.
1. – Terrorismo.
Una nota del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (Casa) ha riferito che, dopo aver analizzato gli attacchi terroristici in India nella sua riunione ordinaria settimanale, l’organismo ha deciso “di intensificare l’attività di osservazione nei circuiti degli estremisti presenti sul territorio nazionale. A tal proposito il Ministro dell’Interno ha convocato per il giorno 2 dicembre il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica”. Nella riunione il Casa si è concentrato sul “ruolo dell’organizzazione Indo-Pakistana la Lashker e Toyba, di matrice separatista, ma con forti connotazioni islamiste, che nei sanguinosi attentati di Mumbai ha posto in essere una strategia terroristica realizzata con un ampio numero di terroristi, scientificamente preparata per colpire più obiettivi contestualmente”.
Note d’agenzia danno per più vicino il rientro in Italia di Cesare Battisti, ex leader dei Pac (Proletari armati per il comunismo). Il Comitato nazionale per i rifugiati (Conare) del ministero brasiliano della Giustizia ha respinto la richiesta d'asilo che Battisti, detenuto a Brasilia dal marzo 2007, aveva presentato, avendo l’Italia chiestone l’estradizione. Battisti ha due settimane a disposizione per presentare ricorso al ministro della Giustizia, Tarso Genaro. Se il ricorso non avrà successo, la richiesta italiana di estradizione verrà esaminata dal tribunale Supremo Federale.
Rafforzare le misure di sicurezza per il ministro della Giustizia Angelino Alfano dopo le minacce che a partire dall'estate scorsa sono pervenute al Guardasigilli. L'ultimo episodio, il recapito al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) di una busta con un proiettile contenente un messaggio che riporta la scritta “Alfano boia”, e firmato con una stella a cinque punte. Inoltre, sul cellulare del ministro sarebbero arrivate delle minacce di morte. Manifestazioni di solidarietà sono venute da esponenti di maggioranza ed opposizione. Maurizio Lupi (Pdl), vicepresidente della Camera ha detto: “Condanniamo fermamente questo atto intimidatorio che ci induce a ribadire la nostra intenzione di tenere sempre alta la guardia”. Lanfranco Temaglia, ministro della Giustizia del governo ombra del Pd, ha detto che “la vicenda evidenzia la necessità di non abbassare mai la guardia nel contrasto alla criminalità organizzata o terroristica. L’auspicio è che maggioranza e opposizione trovino su queste tematiche ragioni di confronto e di condivisione nell’attività parlamentare”. Il presidente del Senato Renato Schifani ha condannato gli inaccettabili e vili atti intimidatori, esprimendo la sua più sincera vicinanza e solidarietà ad Alfano: “Siamo certi che il ministro Alfano, così come tutte le istituzioni del nostro Paese non abbasseranno mai la guardia continuando sempre ad essere presidio di democrazia e legalità”.
Il numero due di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, ha proposto a tutti gli egiziani e in particolare agli islamici e simpatizzanti della sua formazione di adoperarsi per fare pressioni con una protesta pacifica nei confronti del governo del Cairo affinché riapra il valico di Rafah che li divide da Gaza. “Quale potrebbe essere il problema se gli studenti e gli impiegati o i lavoratori smettessero di studiare e di lavorare fino alla fine dell’embargo su Gaza? Non potrebbero scioperare tutti insieme? Basterebbe annunciare che loro stessi si sentono sotto embargo a casa loro fino a quando il governo egiziano non interrompe l’embargo sui nostri fratelli di Gaza”.
2. - Intelligence.
Nel corso della riunione di oggi del Consiglio dei ministri, il governo ha completato gli organigrammi al vertice dell'intelligence italiana formalizzando le designazioni dei vicedirettori di Dis, Aisi ed Aise. Al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (ex Cesis), attualmente diretto dal prefetto Gianni De Gennaro, sono stati chiamati alla vicedirezione il prefetto Pasquale Piscitelli e generale di divisione della Guardia di Finanza Cosimo Sasso. Nell'incarico di vicedirettore dell'Aisi, Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (ex Sisde) diretta da Giorgio Piccirillo, sono stati designati il prefetto Nicola Cavaliere, attuale vicecapo della Polizia e Direttore centrale della Polizia criminale, che assumerà il ruolo di responsabile operativo della struttura, e il generale Paolo Poletti, attuale capo di stato maggiore della Guardia di Finanza. All’Aise, Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, oggi diretta da Bruno Branciforte, il nuovo vicedirettore designato dal Consiglio dei ministri è il generale dei carabinieri Michele Franzè, oggi a capo del Comando Unità Mobili e Specializzate “Palidoro”.
3. – Politica.
Agenzie riportano che alcuni partecipanti alla riunione del Consiglio dei ministri di oggi hanno raccontato che Silvio Berlusconi avrebbe rilanciato il black-out televisivo, annunciato nei mesi scorsi. In particolare il premier avrebbe invitato i sei ministri a non partecipare allo show televisivo di Maurizio Crozza, perché viene data poca possibilità di replicare, limitando così il contraddittorio: i politici che vanno da Crozza hanno pochissimo tempo per rispondere, ma chi fa la trasmissione ha almeno una settimana per studiare delle domande che possono mettere in difficoltà. Questo il succo della questione.
Dove si colloca l’Udc? Al tormentone ha risposto all’Adnkronos Lorenzo Cesa dicendo: “Siamo un partito di centro che vuole rappresentare al centro i moderati italiani. Ho visto questa notizia in merito ad un sondaggio, ma non aggiunge molto a quello che sappiamo della nostra storia”. Il riferimento del segretario dell’Udc è a quanto scritto dal quotidiano on line “Affaritaliani.it”, che, cioè, gli elettori dell’Udc preferirebbero un’alleanza con il Pdl anziché con il Pd.
4. – Antirazzismo.
I ministri della Giustizia dei Ventisette a Bruxelles hanno dato il via libera definitivo alla decisione quadro contro razzismo e xenofobia. Gli stati membri avranno ora due anni di tempo per introdurre “misure severe ed efficaci”, con pene comprese tra uno e tre anni di reclusione, per chi inciti intenzionalmente alla violenza o all’odio. Soddisfatto il commissario europeo alla Giustizia, la libertà e la sicurezza Jacques Barrot. “Il razzismo e la xenofobia non hanno posto in Europa, né dovrebbero averlo in alcun’altra parte del mondo” (Adnkoronos).
5. – Fatti di cronaca.
È morta in una casa di riposo dell’Indiana Edna Parker, la donna più vecchia del mondo. Mrs Parker, vedova dal 1939, aveva vissuto da sola nella sua fattoria fino all’età di 100 anni. La Parker era sopravvissuta ai suoi due figli, e ha lasciato 31 discendenti. La donna più vecchia del mondo secondo il Gerontology Research Group è ora Maria de Jesus, un’ultracentenaria portoghese nata nel 1893.
Sono allarmanti i dati sui falsi dentisti in Italia, dove se ne conta uno ogni 4 odontoiatri veri, qualificati e iscritti all'Albo. “Una stima basata sull’esperienza, perché non ci sono studi puntuali a riguardo, ma che è sicuramente cauta rispetto al fenomeno”, a dirlo è stato il presidente della Commissione nazionale Albo (Cao) odontoiatri della Fnomceo, Giuseppe Renzo.
La neve a Milano ha provocato l’ennesimo incidente tra tram. È successo alle 11, all'incrocio tra corso Vercelli e piazzale Baracca, dove a causa di uno strato di neve e ghiaccio su uno scambio due ruote di un tram della linea 16 sono uscite dal binario. Il tram ha urtato un altro tram, sempre della linea 16, che proveniva nella direzione opposta. Nessun ferito.
6. – Droga.
L'ambasciatore della Colombia in Italia Sabas Pretelt de La Vega, nel corso di un convegno a Roma sul consumo della cocaina ha affermato: “Ogni tiro di cocaina che finisce nelle narici dei consumatori brucia 10 metri quadrati di foresta amazzonica. La coltivazione è causa di devastazione ambientale. Ciò significa che quando consumi cocaina consumi anche il mondo in cui vivi. Se non ti importa dei danni per la tua salute, per la tua famiglia e per le relazioni sociali a cui più tieni, pensa almeno al mondo che contribuisci a distruggere”. La cocaina brucia ogni anno 250 mila ettari di foresta amazzonica. In otto anni per produrre questa sostanza viene polverizzata una porzione grande quanto la Sardegna. L’ambasciatore ha infatti spiegato che per ogni ettaro di cocaina che viene coltivata, ne vengono bruciati altri tre o cinque. Centinaia e centinaia di metri sono dati alle fiamme per preparare il terreno, altrettanti vengono distrutti per costruire i laboratori in cui depositare il raccolto.

venerdì 28 novembre 2008

Quelli che incolpano la globalizzazione tornino a scuola

Antonio Martino è intervenuto su “Libero” oggi con l’articolo: “Se la crisi arriva non incolpate la globalizzazione”. Scrive Martino:

La crisi finanziaria in corso ha resuscitato vecchi miti duri a morire. Il primo, ed il più pericoloso, è che la crisi sia da imputare alla “globalizzazione”. I fautori di questa tesi non spiegano né cosa intendano per globalizzazione né perché essa sia responsabile degli attuali problemi. Globalizzazione diventa un termine magico col quale si spiegano senza fatica ed inappellabilmente tutti i mali dell’umanità: è perentorio, non lascia spazio a dubbi e fornisce una spiegazione istantanea e comoda di qualsiasi problema. In realtà, se ci chiediamo cosa debba intendersi per globalizzazione, perveniamo alla conclusione che essa non è la causa dei nostri guai né che il suo opposto ne offra una via d’uscita.
Globalizzazione è un termine moderno per un fenomeno antichissimo: da moltissimo tempo gli abitanti di Paesi diversi intrattengono relazioni economiche con reciproco vantaggio. La novità è rappresentata dalle dimensioni del fenomeno: grazie agli enormi progressi nei trasporti e nelle comunicazioni, gli scambi internazionali di beni, servizi e capitali sono cresciuti più rapidamente del reddito pro capite dei vari Paesi, ed è quasi certamente questa crescita che ha reso possibile quell’aumento diffuso del benessere nel mondo. Del resto, per comprendere i vantaggi arrecati dalla libertà dei rapporti economici internazionali basta considerare per un momento gli enormi danni che sono stati arrecati dai tentativi di impedirli. Com’è noto, la crisi finanziaria del 1929 venne trasformata in recessione dal comportamento della banca centrale americana che consenti il fallimento di un terzo di tutte le banche degli Stati Uniti. L’inevitabile recessione venne trasformata in una catastrofe senza precedenti dallo Smith Hawley Tariff Act del 1930 che introdusse tariffe doganali elevate su oltre 20.000 prodotti importati negli Stati Uniti. I paesi i cui prodotti erano colpiti da questi balzelli risposero con provvedimenti di ritorsione ai danni dei prodotti americani. Questa spirale protezionistica determinò una drastica contrazione degli scambi internazionali con danno enorme per le economie di tutto il mondo.
Un altro mito è che la crisi sia da imputare alla "finanziarizzazione" dell’economia: orrendo neologismo col quale si biasima ciò che non si capisce. Il gran numero di strumenti finanziari in uso nel mondo di oggi è incompreso dai più, si tratta di raffinati modi per proteggersi dal rischio e per diversificarlo. Tanto per fare un esempio banale, i contratti a termine (“futures”) servono al venditore per tutelarsi nei confronti del rischio che il prezzo del suo prodotto diminuisca, ed all’acquirente nei confronti di eventuali aumenti.
Dietro l’apparente complessità degli strumenti finanziari c’è spesso una realtà assai semplice. Dietro la diffidenza per la finanza moderna c’è inconsapevolmente anche un vecchio pregiudizio risalente al medioevo ed all’avversione per il denaro come strumento di arricchimento “illecito”. È un preconcetto che ritroviamo per esempio nella legislazione contro l’usura, nella religione islamica e la sua proibizione di concedere denaro a prestito con la corresponsione di un interesse, tutti atteggiamenti che se coerentemente tenuti avrebbero reso impossibile la nascita delle banche e del credito, che sono alla base del mondo moderno. E che questo vecchio mito sopravviva in Italia, il Paese che ha inventato la banca e la partita doppia, è davvero stravagante.
Diceva Oscar Wilde che chi distingue l’anima dal corpo non ha né l’una né l’altro; analogamente chi distingue l’economia monetaria (fasulla) dall’economia reale (vera) non conosce né l’una né l’altra. Economia reale ed economia monetaria non sono distinguibili per l’ovvia ragione che tutte le economie del mondo sono da millenni economie monetarie di scambio. Da quando l’umanità ha scoperto l’importanza della moneta non è mai esistita un’economia non-monetaria.
Il fondatore della prima “scuola di Chicago” Frank Knight sosteneva che «il guaio non è che la gente sa così poco di economia, il vero problema è che sa tante cose che sono del tutto sbagliate»! Non c’è alcun dubbio che questa osservazione sia ancora valida ad ottant’anni di distanza.

Brunetta, Keynes e la crisi

Renato Brunetta ha pubblicato oggi su “Il Riformista” un articolo intitolato “Keynes riposi in pace”. Lo riporto qui come contributo per capire come la pensa Brunetta sui temi della crisi.

È vivo e ancora tra noi Keynes? No, è morto e lasciamolo riposare in pace, con il rispetto che dobbiamo ai grandi pensatori che hanno aperto nuove strade alla teoria ed alla pratica dell’economia. Evitiamo, soprattutto, di coinvolgerlo nel ripetersi, a livello di farsa, dello stantio dibattito sul ruolo dello stato, o della politica, in opposizione al mercato, frutto di una cattiva teoria e di una cattiva politica. Tanto per essere chiari, la crisi che stiamo attraversando è, innanzitutto, un fallimento della politica e non del mercato. E, infatti, lo stato, cioè la politica, che ha stabilito regole imperfette, o sbagliate, all’agire degli intermediari finanziari. E se lo ha fatto per ignoranza o scarsa comprensione dei meccanismi finanziari, non vediamo come la politica possa ergersi a giudice del mercato come meccanismo di allocazione e di utilizzo efficiente delle risorse. Se, invece, la politica non ha fissato le regole corrette perché “catturata” dagli interessi privati degli agenti sul mercato, siano essi i cosiddetti “gnomi” a capo del sistema bancario o altri interessi economici forti, ne traiamo ancor più la prova che non sempre lo stato e la politica interpretano gli interessi generali, gli interessi della stabilità e della crescita economica o delle fasce più deboli della popolazione.
2. - Ma non è solo lo stato “regolatore” ad avere mostrato insufficienza. Anche lo stato “sanzionatore” non ha brillato. Anzi, spesso, ha provocato disastri quando, esplicitamente o implicitamente, ha offerto garanzie tali da provocare un aumento del moral hazard, cioè della propensione al rischio, degli operatori economici, persuasi che lo stato avrebbe impedito, in ultima istanza, anche la sanzione del mercato in caso di insuccesso delle proprie azioni. Fatto, questo, che puntualmente sta avvenendo, ponendo il non nuovo dilemma tra la conferma di aspettative non virtuose, con l’invio di segnali sbagliati agli operatori per il futuro, e l’esigenza di far fronte ad una crisi sistemica con un intervento forte e responsabile dello stato.
3. - Anche dal punto di vista macroeconomico l’attuale crisi non è figlia del laissez faire, del non intervento, ma al contrario di una politica interventista di tipo keynesiano. Mentre Milton Friedman, considerato il principale fautore del capitalismo e del mercato, predicava di mantenere stabile la crescita dell’offerta di moneta, e quindi anche della liquidità creata dalle banche, era Keynes, peraltro anch’esso sostenitore del capitalismo e del mercato, che predicava, sotto determinate condizioni di capacità produttiva inutilizzata, la creazione di liquidità necessaria a stimolare la domanda aggregata. Se, quindi, si vuole semplificare in modo provocatorio l’analisi, possiamo affermare che la politica economica americana dell’ultimo decennio è stata certamente ispirata più dai precetti keynesiani che da quelli di Milton Friedman. Per essere più precisi, la politica monetaria espansiva è stata utilizzata da Greenspan in modo spregiudicato, e non certo in conformità del pensiero liberista della scuola di Chicago, per sostenere proprio la domanda aggregata. Prima, alla fine del secolo scorso, essa ha accompagnato la bolla speculativa della new economy. Poi, dopo lo scoppio di questa bolla ed il conseguente crollo della ricchezza finanziaria degli americani, è stata utilizzata per compensare queste perdite con un aumento della ricchezza immobiliare. Forte liquidità e bassi tassi di interesse sono stati, infatti, la base sia del formarsi della bolla immobiliare sia dell’uso eccessivo della leva finanziaria da parte del sistema creditizio. Il fine era il sostegno della domanda interna ed in particolare dei consumi degli americani, fortemente dipendenti dalla ricchezza. La politica monetaria espansiva di Greenspan ha, in tal modo, assicurato un lungo periodo di prosperità agli americani, anche se la crisi finanziaria e la recessione attuale ne sono, in parte, la conseguenza. Si dovrebbe, inoltre, ricordare che anche la bolla speculativa della new economy ebbe il merito di far confluire capitali in abbondanza ad un settore che avrebbe cambiato il mondo e la sua economia, anche se molti risparmiatori incauti ne pagarono il prezzo. Ma non si deve dimenticare che l’idea keynesiana secondo la quale la politica monetaria espansiva, sostenendo la domanda aggregata, avrebbe creato il reddito e quindi, ex post, anche il risparmio necessario agli investimenti, non sembra aver funzionato negli Stati Uniti, a causa di una propensione al risparmio prossima allo zero.
4- - Vi è un altro tassello del puzzle, che ci mostra come dietro il mondo che alcuni pensano sia finito non ci sia solo mercato ma mani molto visibili. L’economia americana ha trovato il risparmio necessario, che non riusciva o si rifiutava di creare in casa, in Cina, ed in altri paesi emergenti, ove il governo non sottoponeva il tasso di cambio, cioè il valore della sua moneta, alla disciplina del mercato valutario, frenava salari e domanda interna, e accumulava mediante surplus commerciali riserve valutarie, prevalentemente in dollari, e le impiegava in titoli americani. Cambi amministrati e controllo del movimento dei capitali non sono il regno del libero mercato internazionale o del mercato selvaggio. Senza queste mani molto visibili gli squilibri americani, fondati sul deficit interno ed estero, non sarebbero potuti crescere tanto e così a lungo.
5. - Tutto questo è per dire che, seguendo il metodo di Keynes e non banalmente ricette coniate in un mondo che non c’è più, è necessario affrontare con umiltà intellettuale la crisi attuale, per affinare la capacità esplicativa della teoria economica, che proprio dal confronto con le sfide della storia ha sempre trovato stimolo per i suoi progressi, senza rinchiudersi all’interno di scuole di pensiero ideologiche. D’altra parte, in un momento in cui il richiamo allo stato ed alla politica prevale, per la paura che la crisi possa avvitarsi in modo incontrollabile se affidata alla cura degli animal spirits che operano sul mercato, essa rimane incerta e dubbiosa dopo aver reclamato la primazia. Il problema che abbiamo di fronte non è quello di una maggiore presenza della politica, ma di quale politica. Il problema attuale non è il richiamo all’intervento pubblico, magari sotto la bandiera simbolica di un nuovo keynesismo, ma come strutturare l’intervento pubblico, con quali strumenti e con quali finalità. E come, soprattutto, affrontare l’emergenza senza correre il rischio di spostare in avanti i problemi che oggi si manifestano. Come si è detto sopra, il tentativo di Greespan di eliminare il ciclo dall’economia americana ha prodotto risultati in parte imprevisti. Un esempio può chiarire come il breve periodo possa a volte confliggere con il medio e lungo periodo. Di fronte ad una emergenza alimentare in paesi in via di sviluppo, di fronte ad una catastrofe umanitaria, la risposta è in genere quella di inviare cibo e derrate alimentari attraverso i programmi di aiuto internazionali. Ma non è un mistero che questi interventi contribuiscono a distruggere i mercati agricoli locali ed a porre le basi per una successiva carestia.
6. – L’esempio può sembrare forte, ma questo è uno dei problemi, non ideologici, che si pongono di fronte ai governi che debbono cercare di impedire che la crisi finanziaria si trasferisca in modo catastrofico nell’economia reale. Se guardiamo all’Europa e poi all’Italia, i problemi non sono più semplici che negli Stati Uniti. Ed ancor più che negli Stati Uniti il richiamo a Keynes ci sembra fuorviante. In Italia, ed in Europa, abbiamo avuto troppo poco mercato ma abbiamo avuto anche una latitanza della politica economica. Schiacciati da un enorme debito pubblico, nascosti dietro i veti europei perché incapaci, senza il richiamo all’autorità superiore, di contrastare tutte le corporazioni che hanno saccheggiato l’Italia facendone il paese con il maggior grado di disuguaglianza ed il minor tasso di crescita tra i paesi europei comparabili al nostro, la politica italiana non ha dato per lungo tempo grande prova di sé.
7. - Ben vengano, quindi, eventuali apparenti incertezze sul da farsi. La necessaria prontezza di risposta dei governi non esime dalla riflessione. Risposte od annunci affrettati sono sottoposti ad una immediata attenta valutazione dei mercati, che è poi la valutazione delle imprese e delle famiglie risparmiatrici e consumatrici. Se le risposte sono solo mediatiche o palesemente insufficienti, esse non incidono nelle aspettative e, quindi, nei comportamenti da cui dipende l’uscita dalla crisi, ma al contrario possono aggravare le crisi di sfiducia.
8. - Probabilmente, in Italia, l’azione pubblica nel momento attuale dovrebbe seguire tre direttive principali. Primo, un’azione di assistenza per chi è colpito dalla crisi. Il maggior finanziamento e allargamento degli ammortizzatori sociali, programma peraltro che era nei piani di riforma del welfare, deve essere oggi accelerato. Anche alcuni provvedimenti fiscali a favore delle fasce deboli rientrano in questa logica e non hanno nulla a che vedere con riforme fiscali necessarie a sostenere l’offerta, riforme, quest’ultime, che devono essere discusse separatamente e devono avere, per essere efficaci, carattere strutturale. Il piano assistenziale serve ad evitare l’estendersi della logica del salvataggio, degli aiuti, dello stato proprietario, logica che rischia di aumentare la propensione al moral hazard che solo il mercato, e non la minaccia giudiziaria, può contrastare pienamente. L’assistenza è il complemento al mercato, non il sostituto.
9. - Un piano di spesa per investimenti pubblici e manutenzione, la cui finalità non è solo quella di creare immediata domanda aggiuntiva, poiché le sfasature temporali lo impediscono, ma di creare quelle infrastrutture e quell’efficienza di sistema che possono migliorare le aspettative, quelle sì ad effetto immediato, di produttività e competitività delle imprese che operano sul territorio italiano.
10. - Proseguire nella paziente opera riformatrice, e, che non costa, il cui scopo è quello di far funzionare meglio i mercati e lo Stato in tutti i suoi comparti allo scopo di un recupero complessivo di produttività del sistema economico italiano. Se proprio vogliamo ricordare Keynes, potremmo richiamare la necessità di un nuovo ordine monetario internazionale, ma questo è un compito politico che spetta alla comunità delle nazioni e non al governo italiano. Buona agenda per i prossimi difficili mesi.

Veltroni torna alla carica "raccomandando" Zavoli

Ancora dai giornali di oggi sul caso della Vigilanza Rai. “Il Sole 24 Ore” ritorna ad evidenziare la posizione di Veltroni titolando “Veltroni: Berlusconi applichi l`accordo sulla Vigilanza”. L’articolo contiene anche altre informazioni sulle televisioni quasi un segno che forse ci si cominci a fare una ragione della realtà delle cose.

Il leader del Pd, Walter Veltroni, chiede al Governo e alla maggioranza di dare attuazione all’intesa su Sergio Zavoli alla Vigilanza. Riccardo Villari, da parte sua, va avanti e convoca per giovedì prossimo il presidente e il direttore generale della Rai davanti alla commissione. Veltroni si è pronunciato ieri sull’intesa trovata tra i due schieramenti, dopo che il centro-destra ha votato per Villari insieme a due esponenti dell’opposizione. «C’è un’intesa - ha detto il segretario del Pd - e se una delle due parti che l’hanno siglata per eleggere un galantuomo alla guida della commissione (Zavoli, ndr) non crea le condizioni per attuarla, “non è una bella cosa”. Non sono assolutamente preoccupato per questa situazione. Lo sono solo per le istituzioni. Mi auguro che il problema venga risolto, altrimenti sarebbe un problema». Nella prossima settimana, forse giovedì, si terrà l’assemblea del gruppo Pd al Senato per discutere il ricorso del neo presidente della Vigilanza, contrario alla sua esclusione dal gruppo.
Sul fronte televisivo, intanto, Enrico Mentana ha ufficializzato la vittoria del suo Matrix nel periodo di garanzia autunnale: «Siamo il miglior programma per quota di ascolto in seconda serata, d’informazione e non. E abbiamo, superato Porta a Porta». Matrix ha una share, ossia una quota di ascolto sui tv accesi, del 18,2% sul totale individui, dal 7 settembre al 26 novembre, contro il 17,3% del programma di Bruno Vespa. Il quale replica confrontando solo le due serate nelle quali i due programmi vanno in onda contemporaneamente, il lunedì e il mercoledì. In questo caso Porta a Porta è in lieve vantaggio.

Non si comprende bene – e ce lo dovrebbero spiegare - perché Zavoli sia un galantuomo e Villari no. Questo strano metro di misura è sfruttato da “Il Tempo” per scrivere una sorta di nota di colore dal titolo significativo già di per se stesso: “L’appestato”. Occhiello: “Pizzi...cato. A Palazzo delle Esposizioni nessuno vuole parlare con íl presidente della Vigilanza Rai”. Sottotitolo: “Tutti evitano Villari e lui prepara le nomine”. Il pezzo è di Fabrizio dell’Orefice.

Ormai è l’Appestato. L’Appestato della politica. Nessuno lo vuole incontrare, lo vuole vedere. Lui è sempre al telefonino ma nessun deputato o senatore è disponibile ad ammettere di averci parlato al telefono. Sono giorni insoliti quelli di Riccardo Villari, presidente del fantomatico Napoli Club Montecitorio (un centinaio di iscritti paganti e una sola iniziativa) e da un paio di settimane presidente anche della Commissione di Vigilanza Rai. Tutti lo evitano. Pubblicamente tutti cercano di non stringergli la mano. L’altra sera, per esempio, Riccardino - così lo chiamano a Napoli – s’è presentato al premio Pimby («Please in my back yard», filosofia che ispira la propria attività in opposizione alla sindrome «Not in my back yard» che affligge coloro che si battono contro la costruzioni di opere pubbliche) al Palazzo delle Esposizioni. Giunto accompagnato da una signora bionda, Villari s’è sistemato al suo tavolo. Quando ha visto arrivare Gianni Letta, s’è alzato per corrergli incontro e salutarlo. Ma il sottosegretario l’ha ricambiato con una stretta di mano di cortesia. L’unico a parlarci è stato Antonio Polito, direttore del Riformista.
Villari ha mangiato con gusto le varie pietanze e spesso si è allontanato per parlare al telefonino. Ieri gli è toccato essere sfottuto anche da Striscia la notizia, che lo ha fatto inseguire dal finto Bruno Vespa che lo prendeva in giro. In Vigilanza va avanti (anche se il Pd non partecipa ai lavori della commissione). Per la settimana prossima saranno avviate le audizioni. Si comincia da presidente e direttore generale della Rai, il 4 dicembre. Dopo Petruccioli e Cappon è possibile che si proceda con le audizioni dei direttori di rete e di testate. Poi sarà l’ora delle nomine, visto che il consiglio di amministrazione della Rai è scaduto da maggio. Veltroni chiama in causa Berlusconi: «Faccia rispettare i patti», dice riferendosi all’intesa raggiunta sulla presidenza candidando Sergio Zavoli. Dal Pdl fanno spallucce. Addirittura il ministro Gianfranco Rotondi rilancia: «Villari è giusto che vada avanti, continui nel suo percorso, a sbagliare non è stato lui ed è giusto che guidi la commissione di Vigilanza. Se mi chiede chi vedrei bene come presidente della Rai, le rispondo senza alcun dubbio Marco Follini, anche lui democristiano come me». Lui Riccardino s’allarga anche contro La7 «rea» di aver criticato la Rai.

Quella di Bolzaneto fu "tortura", ma...

Le motivazioni della sentenza sul G8. Riproduco qui due articoli tratta dai quotidiani di oggi. Il primo è di Giuseppe D’Avanzo su “La Repubblica”, titolo: «Le motivazioni della sentenza sul G8 e il “tradimento” della polizia. “A Bolzaneto ci fu tortura”.

L’asimmetria è manifesta. Se partecipo a una manifestazione di piazza e pochi o molti violenti scatenano una guerriglia urbana, anch’io, che pacificamente ho aderito all’iniziativa, sono responsabile per la polizia di quella guerriglia. Se, al contrario, ho addosso una divisa di poliziotto, il criterio che stringe in un solo nodo, con le stesse responsabilità, e i pacifici e i violenti non vale più. Anche se sono in servizio in una caserma dove si torturano gli arrestati, anche se sono nella stessa stanza a pochi metri da quel castigo ingiusto, non mi può essere attribuita la responsabilità dei trattamenti inumani inflitti da altri. No, occorre che ogni gesto degradante (naturalmente provato) abbia un suo responsabile diretto (naturalmente identificato in modo inequivocabile). Una fortunata coincidenza ci mette sotto gli occhi, nelle stesse ore, gli esiti del nuovo “diritto diseguale”.
A Roma il procuratore generale della Cassazione definisce «deviata» una cultura poliziesca che, identificando una persona che partecipa a una manifestazione, le attribuisce «tutti i reati commessi durante la manifestazione» (è accaduto l’11 marzo 2006 a Milano, in Corso Buenos Aires, durante una manifestazione antifascista). A Genova diventano pubbliche le motivazioni per le torture della caserma di polizia di Bolzaneto durante i giorni del G8, tra il 20 e 22 luglio 2001. E si legge che - non c’è dubbio - le violenze, le umiliazioni consumate in quella caserma e «pienamente provate avrebbero potuto ricomprendersi nella nozione di “tortura” delle convenzioni internazionali». Ma in Italia quel reato non c’è e allora bisogna accontentarsi di descrivere quelle prepotenze come «condotte inumane e degradanti». Sono comportamenti «che hanno tradito il giuramento di fedeltà alle leggi della Repubblica italiana e alla Carta Costituzionale, inferto un vulnus gravissimo, oltre a coloro che ne sono stati vittime, anche alla dignità delle forze della polizia di Stato e della polizia penitenziaria e alla fiducia della quale detti Corpi devono godere nella comunità dei cittadini». Epperò, dall’accertamento delle condotte vessatorie «non discende automaticamente che, di quelle condotte, debbano necessariamente rispondere tutti gli imputati». Ne risponderanno individualmente soltanto i responsabili diretti. «Purtroppo la maggior parte di coloro che si sono resi direttamente responsabili delle vessazioni risultate provate in dibattimento è rimasta ignota. Scrivono i giudici: il limite di questo processo è rappresentato dal fatto che quei nomi, quelle facce, gli aguzzini non sono saltati fuori «per difficoltà oggettive, non ultima delle quali la scarsa collaborazione delle Forze di Polizia, originata, forse, da un malinteso "spirito di corpo"».
Non c’è dubbio che il procuratore generale della Cassazione e i giudici di Genova abbiano ragione: la responsabilità penale deve essere personale. C’è però una differenza non trascurabile: da un poliziotto ci si attende una leale collaborazione nell’accertamento dei fatti, non “spirito di corpo”, non complicità, non omertà. Quei poliziotti, che hanno violato la Costituzione nelle vie di Genova, alla Diaz, a Bolzaneto avrebbero dovuto essere trascinati dinanzi al giudice dai loro stessi commilitoni. Al contrario, la storia dei processi di Genova è una parabola sempre uguale di connivenze, silenzi, reticenze, favoreggiamento, fughe dal processo come quella promossa proprio in questi giorni da un questore accusato di falsa testimonianza con l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro. Se la polizia vuole finalmente chiudere con la verità una pagina di vergogna della sua storia, come ha promesso di fare il capo della polizia Antonio Manganelli, non ha che da rendere concreto il suo impegno accompagnandolo con l’agenda ragionevolmente proposta dal «Comitato verità e giustizia per Genova». Scuse formali dei vertici dello Stato alle vittime degli abusi e a tutti i cittadini; collocazione immediata dei condannati a ruoli che non comportino una relazione diretta con i cittadini; massima collaborazione con la magistratura per le inchieste ancora aperte. Da parte sua, il Parlamento discuta al più presto proposte di legge di “riforma” delle forze di polizia: l’obbligo per gli agenti in servizio di ordine pubblico di indossare codici d’identificazione; l’istituzione di un organismo indipendente cui denunciare eventuali abusi delle forze di sicurezza. Sono strumenti diffusi in molti paesi europei. Si può concordare che «l’esperienza di Genova dimostra che il nostro paese ne ha bisogno».

Il secondo articolo è tratto da “La Stampa” ed è a firma di Alessandra Pieracci, titolo: «Le motivazioni dei giudici dopo la sentenza. “A Bolzaneto torture inconcepibili”. La polizia accusata anche di omertà. “Non è stato possibile colpire i vertici”.

«Comportamenti che rivestono, a pieno titolo, i caratteri del trattamento inumano e degradante commessi da autori che hanno tradito il giuramento di fedeltà alle leggi della Repubblica Italiana e alla Carta Costituzionale», causando un danno gravissimo, «oltre a coloro che ne sono stati vittime, anche alla dignità delle Forze della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria e alla fiducia della quale detti Corpi devono godere». Parole dure quelle usate dai giudici nella motivazione, 451 pagine depositate ieri, della sentenza che nel luglio scorso ha concluso il processo di primo grado per le violenze inferte ai fermati nella caserma di Bolzaneto, durante il summit del G8.
«La mancanza, nel nostro sistema penale, di uno specifico reato di "tortura" ha costretto l`ufficio del pm a circoscrivere le condotte inumane e degradanti (che avrebbero potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di tortura adottata nelle convenzioni internazionali) compiute in danno delle parti offese nell’ambito, certamente non del tutto adeguato, dell’abuso di ufficio» si legge nelle motivazioni. E l’elenco dei comportamenti violenti è lungo e dettagliato: insulti e percosse, passaggio in corridoio tra schiaffi, sgambetti, calci e sputi, costrizione in ginocchio per ore, dolorose e umilianti senza risparmiare i feriti, percosse, manganellate, spray urticanti, insulti, minacce di stupro e di morte, inni fascisti e frasi antisemite «intollerabili sulla bocca di appartenenti a Forze di polizia di uno Stato democratico, che pone il ripudio del nazifascismo tra i valori della propria Costituzione», tanto più «ripugnanti e vessatorie in quanto dirette contro persone tutte appartenenti a un’area politico-sociale che si ricollega ai principi del pacifismo, dell’antifascismo e dell’antirazzismo».
Non solo. I magistrati accusano la polizia di «scarsa collaborazione originata, forse, da un malinteso spirito di corpo» durante l’indagine «lunga, laboriosa e attenta» da parte dei pm Patrizia Petruzziello e Ranieri Miniati. Di conseguenza, non è stato possibile accertare e provare le singole responsabilità. È uno dei presupposti che spiega le decisioni del tribunale presieduto da Renato De Lucchi: 15 condanne su 44 richieste, con pene variabili fra i 5 mesi e i 5 anni.
E non è stato possibile attribuire ai «vertici» la responsabilità di quanto avvenuto nella caserma di Bolzaneto perché sarebbe stato necessario raggiungere la prova della loro presenza ai fatti e della «perfetta percezione di quanto stava accadendo», ovvero di un comportamento doloso, quindi con la precisa volontà di procurare un danno. Il concetto di responsabilità provata è ribadito nelle condanne più pesanti, 5 anni per Biagio Gugliotta, responsabile della sicurezza del sito di Bolzaneto, 2 anni e 4 mesi per i funzionati Alessandro Perugini e Anna Poggi.
Il quadro dipinto dai giudici stigmatizza anche la «così palese e grave carenza logistica da parte dei responsabili di vertice del sito di Bolzaneto», nonché «la pessima organizzazione del servizio di ricezione e gestione dei detenuti realizzata dalle strutture di comando delle Forze di Polizia operanti in occasione del G8».

Il Pdl secondo La Russa. Ai piccoli ci pensi Forza Italia

Oggi su QN “Il Giorno – Il Resto del Carlino – La Nazione”, La Russa precisa sul futuro Pdl. Titolo: “La Russa: «Berlusconi leader? Un tridente guiderà il Pdl», «Due persone saranno l`interfaccia del presidente». L’intervista è raccolta da Antonella Coppari.

«Ho appena terminato la bozza di depliant con la proposta di estendere l’operazione strade sicure (che vede cioè i militari a fianco delle forze dell’ordine sul territorio, ndr) in tutti i capoluoghi per sottoporla all’esame dei cittadini a dicembre, nei gazebo». Che succede: si è convertito al gazebo? Ignazio La Russa, reggente di An, accenna un sorrisino dei suoi: «Li faccio da quando avevo 16 anni: solo che li chiamavo banchetti per le firme».
È un metodo adeguato per scegliere i delegati del congresso? «I gazebo sono essenziali per avere un contatto diretto con gli elettori. Che poi servano per scegliere i delegati è secondario: noi ad esempio, abbiamo deciso di eleggere 300 esponenti della società civile in quel modo, gli altri 1500 verranno scelti con le regole di democrazia interna del partito».
A proposito di democrazia: nessun dubbio che sia Berlusconi a guidare il Pdl? «Adesso, non c’è nessuno nel Pdl che dovendo votare il nome del presidente del partito non scelga Berlusconi. Ciò non vuol dire che non ci siano altri leader, a partire da Fini. Quando lui non avrà un ruolo istituzionale, avrà un incarico di grande peso nel Pdl».
Nel frattempo, servirà qualcuno che affianchi il premier. «Se dovesse esserci un numero due, regola vorrebbe che fosse di provenienza di An perché il presidente è di FI. Ma la cosa migliore per me, sapendo che Berlusconi è uno che non delega, è un gruppo di lavoro molto ristretto che lavori sapendo di avere lui come punto di riferimento».
Un direttivo? «Si può chiamare così. Nello statuto abbiamo previsto un organo che ha dai 15 - formula per cui propendo - ai 30 membri. All’interno di questi ci potrebbe essere un organo ulteriormente ristretto, di due o tre persone, che funzioni da interfaccia al presidente».
Berlusconi ha detto che il Pdl è la continuazione di Forza Italia: è d’accordo? «È corretto dire questo, come è corretto dire che il Pdl è la continuazione di An».
Pensa che l’identità di An non annegherà nel Pdl? «Il limite di un partito identitario è il 10, il 15 forse 20 per cento. Un partito del 40% che punta al 50 non può essere superidentitario. Deve avere precisi punti di riferimento sociali, politici, programmatici ma all’interno di questa cornice sia FI sia An si devono sentire pienamente rappresentate dal nuovo soggetto».
Perché avete deciso che il patrimonio immobiliare di An resterà separato da quello di Fi? «An ha presenze immobiliari che nascono dalla nostra storia: in passato la gente non ci affittava le sedi perché temeva che ci mettessero le bombe, così siamo stati costretti a comperarle. Ora, a differenza di FI, ci troviamo con una serie di immobili che sono patrimonio di società che fanno riferimento al partito. Poiché i partiti confluiscono nel nuovo soggetto ma non muoiono, sono come una società messa in attesa, i patrimoni immobiliari rimangono collegati ai partiti. Quelli non immobiliari confluiranno».
I piccoli vogliono più posti. «Spetta a Forza Italia dare risposte ai partiti che hanno minore rappresentanza elettorale».

Gli elettori hanno decretato Berlusconi premier e leader del Pdl

Quello che segue è uno degli articoli della mia personale rassegna stampa rimasto in sospeso ieri. È un pezzo di Antonella Coppari su QN “Il Giorno – Il Resto del Carlino – La Nazione”, titolo: “«Premier e leader del Pdl, le figure devono coincidere». Intervista a Verdini: «Modello che funziona in tutta la Ue»".

Dice Fini che il Pdl rischia la deriva cesarista. «Assolutamente no: qui non c’è nessun Cesare, solo tanti senatori che lavorano sotto la leadership carismatica di Berlusconi».
In altre parole, sta dicendo che il partito si identifica nel Cavaliere... «E meno male che è così rilancia Denis Verdini, coordinatore nazionale di Forza Italia Lo dico non solo per la mia simpatia di iscritto ma anche in senso storico: quando abbiamo cambiato strategia nel 2006 utilizzando le tre punte abbiamo perso le elezioni per 24 mila voti. È stata una dimostrazione significativa di quello che è una leadership».
Esemplare pure ciò che è successo venerdì: Berlusconi ha chiuso la bottega di Forza Italia con un discorso frettoloso, senza concedere attenzione agli alleati. «Non è un atto di trascuratezza, ma un atto di attenzione verso noi di Forza Italia che, nel consiglio nazionale, avevamo preso una decisione storica deliberando la confluenza all’interno del Pdl».
Il Pdl è la continuazione di Forza Italia? «Non credo che il Pdl sia Forza Italia ma contiene la sua anima, la sua storia, la sua funzione innovatrice della politica e la capacità di mettere insieme forze diverse come è successo dal ’94 ad oggi. Questo spirito, assieme alla leadership di Berlusconi, sono il collante nella costruzione del Pdl».
Fini ne fa una questione di regole: perché non è stato ancora approvato lo statuto? «È facile mettere insieme il 38% dell’elettorato, più difficile mettere insieme una classe dirigente con esperienze diverse. Lo statuto sarà pronto per il congresso di metà marzo. Ora faremo un’altra grande stagione di gazebo: ne alzeremo 10mila con gli alleati in tutta Italia nei weekend del 13-14 e 20-21 dicembre per scegliere i delegati al congresso».
A proposito: esclude che al congresso ci saranno mozioni contrapposte? «Sono gli elettori che l’hanno escluso, dato che il 13 aprile hanno decretato Berlusconi premier e leader della coalizione. Del resto, in tutte le democrazie occidentali avanzate – dall’Inghilterra alla Francia passando per la Spagna il ruolo di leader coincide con quello di capo del governo. Se vogliamo somigliare a queste democrazie, dobbiamo procedere su questo percorso».
La regola sarà condificata nello statuto? Le figure di leader e premier devono coincidere. «C’è una commissione per lo statuto che non voglio superare: ma se vogliamo somigliare a quelle democrazie, dobbiamo ragionare come loro».
Quale sarà il ruolo di Fini nel Pdl? «Ha un ruolo straordinario: è la terza carica dello Stato, il presidente della Camera. Resta un uomo convinto delle sue opinioni ma nel fare politica è limitato dalla veste super-partes assunta».

Il dibattito alla Camera sui fatti di Mumbai [3]

Di seguito lo stenografico dell’ultimo intervento dell’on Pierfelice Zazzera (Idv), che chiude il dibattito sull’informativa del sottosegretario Scotti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.
PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, anche noi dell'Italia dei Valori esprimiamo sentimenti di solidarietà nei confronti di chi è stato coinvolto, della famiglia De Lorenzo, ma anche dei tanti americani, inglesi ed indiani coinvolti in questo gravissimo attentato, che ha tutte le sembianze di un'azione militare. Anche noi proviamo sdegno, condanniamo in maniera ferma e convinta ogni azione terroristica e siamo accanto al Governo in questo momento, perché non è possibile
Pag. 90permettersi divisioni politiche rispetto a problematiche così gravi.
È certamente un secondo 11 settembre, e non è un 11 settembre che accade casualmente. Vi sono state avvisaglie: la recrudescenza dell'azione militare in Afghanistan da parte dei talebani, che hanno riconquistato e riconquistano fette di territorio; gli attentati ed il ripetersi di attentati in Pakistan; gli attacchi nell'India. È un'area geografica che cerca di uscire dagli inferi di una parte del Paese che non vuole portare la democrazia e che vuole togliere quei Paesi al gioco del libero mercato. Sono Paesi che presentano una crescita di prodotto interno lordo importante, fanno passi avanti nel loro sviluppo.
È l'attacco alla capitale economica dell'India: vengono attaccati in modo particolare gli stranieri, con modalità che somigliano molto, anzi sono certamente tipiche di un'azione terroristica di Al-Qaeda, ma seguono anche - non dimentichiamolo - le minacce di Al-Zawahiri, proprio ventiquattro ore dopo l'elezione a Presidente degli Stati Uniti d'America di Obama. Se fosse vera la notizia che nel gruppo dei terroristi vi erano pakistani, evidentemente lì dobbiamo giocare un ruolo importante, lì si crea una fucina che probabilmente diventa destabilizzante per l'intero mondo.
Dobbiamo accogliere - e fa bene Governo ad agire in tal senso - l'appello del Presidente della Repubblica Napolitano per un'iniziativa politica forte della comunità internazionale, e dell'Europa in modo particolare. È necessaria una ferma lotta al terrorismo e ciò richiede il rafforzamento della cooperazione delle intelligence, che vanno sostenute con risorse umane ed economiche. Vanno sostenuti in quei Paesi i Governi moderati, laddove dove il fondamentalismo e l'estremismo trovano humus adatto alla loro crescita anche attraverso l'utilizzo delle regole della democrazia al fine di raggiungere e controllare il Governo. Va applicato l'abbattimento dei debiti nei confronti dei Paesi in difficoltà. Infine, dobbiamo combattere la paura attraverso la rimozione di nostre intolleranze e di nostri timori nei confronti di alcuni Paesi. Non possiamo pensare che tutti siano cattivi: in quei Paesi ci sono buoni e cattivi, non possiamo pensare che tutti siano fondamentalisti islamici.
Possiamo svolgere un ruolo importante riportando al primato la ragione e, soprattutto, ridando primato alla politica, che deve riportare a livello internazionale il dialogo, la convivenza e la condivisione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.

Il dibattito alla Camera sui fatti di Mumbai [2]

Dopo gli interventi di Marco Zacchera (Pdl) e Piero Fassino (Pd), il resoconto stenografico della discussione in aula alla Camera sui fatti di Mumbai. Gli interventi di Stefano Stefani (Lega Nord) e Luca Volontè (Udc).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Stefani. Ne ha facoltà.
STEFANO STEFANI. Signor Presidente, un argomento come questo forse avrebbe necessitato una maggiore attenzione e anche un po' più di tempo, comunque cercherò di essere telegrafico e di restare nei tempi a me assegnati.
L'inopinato attacco a Mumbai (ma amo ancora chiamarla Bombay per i miei ricordi di gioventù) sembra non aver fine dalle notizie che continuano a pervenire dal Paese circa ulteriori esplosioni (addirittura sembra che la città non sia stata ancora completamente liberata da questi gruppi di terroristi).
La Lega esprime il massimo cordoglio per le numerose vittime innocenti e la massima preoccupazione per gli ostaggi che sono ancora in mano ai terroristi e per la sorte dei nostri connazionali. Purtroppo la struttura del nostro Ministero degli esteri - ma anche degli altri Ministeri degli esteri - non può assolutamente controllare quanti italiani sono presenti in quel Paese. Come può controllarlo quando questi non si registrano, quando abbiamo uomini d'affari che vanno su e giù dall'India, anche settimanalmente, che non hanno il tempo e la voglia di registrarsi? Speriamo, comunque, che il numero delle vittime non aumenti.
Nella mia qualità di presidente della Commissione esteri ho già telefonato, riscontrando la massima disponibilità, al nostro ambasciatore a Delhi che sta seguendo con la massima attenzione l'evolversi della situazione. Signor sottosegretario, desidero veramente esprimere il massimo apprezzamento - la prego di riportarlo anche al Ministro - per la nostra unità di crisi. Poche ore fa, ho telefonato a due mie concittadine (si chiamano Carla Padovan e Rossella Bergamo), che sono lì a rappresentare un ente pubblico vicentino di promozione, che hanno avuto la fortuna di sfuggire all'attentato e di rifugiarsi a casa del nostro console. Anche il loro capo a Vicenza mi ha confermato la massima operatività e capacità della nostra unità di crisi; pertanto, la prego di riportare al Ministro queste mie osservazioni.
I principali obiettivi colpiti sono proprio il cuore di Bombay, di Mumbai. Il Taj e l'Oberoi sono i due simboli dell'occidentalizzazione di quel Paese, sono i luoghi di ritrovo della comunità internazionale, i punti nevralgici della presenza internazionale a Mumbai. L'India è stata colpita nel cuore della sua economia laddove dialoga con il resto del mondo, e la chiusura dell'aeroporto, così come la chiusura dei mercati internazionali, è allarmante. Credo che sia evidente la strategia terroristica: colpire un Paese più che emergente per la sua economia, uno dei Paesi che è previsto sia il fulcro dello sviluppo internazionale.
L'attacco - per quello che ne sappiamo - si è svolto dal mare con l'utilizzo di gommoni e con delle truppe addestrate ed armate. Reputo che non si possa dire che si tratti di gente
Pag. 86locale; è chiaro che in India vi è una forte componente musulmana. ma per quello che ne so io, quelle truppe, che hanno un inquietante addestramento militare, non hanno attinto da questi cittadini. Non è la prima volta che l'India è oggetto di attacchi. Alcuni anni fa, fu lo stesso Parlamento ad essere luogo di una sanguinaria strage; ve ne è stata un'altra il 13 settembre a Delhi, e poi il 30 ottobre nel nord est con oltre 100 morti.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
STEFANO STEFANI. Esprimiamo con forza la nostra solidarietà al popolo e al Governo indiano. L'India costituisce - voglio ricordarlo, visto che ci riempiamo la bocca della parola democrazia - una delle democrazie più grandi del mondo. L'India è una nazione amica dell'Italia, è legata a noi da vincoli saldi e antichi, e sappiamo e che saprà reagire a questo difficilissimo momento. La matrice dell'attentato ancora non è ben definita, ma credo francamente che, alla luce di quello che si sente e si vede, e anche in ragione delle considerazioni che ho testé svolto sulla loro preparazione militare, si possa ben attribuire a una chiara linea (e vedremo che sarà confermata questa mia, e non solo mia, supposizione).
Lo ha osservato d'altra parte anche il Presidente della Federazione russa, Medvedev, con una battuta a caldo. Ancora una volta percepiamo l'attuale indivisibilità della sicurezza internazionale e troviamo conferma per la scelta di una solidarietà globale nella lotta al terrore. Tuttavia, se non cambiamo i presupposti e il nostro approccio, tale lotta non potrà mai essere vinta. Dobbiamo mettere al bando e dobbiamo sanzionare qualunque Paese del globo che offre un supporto finanziario o anche logistico a questi terroristi. Dobbiamo cambiare la nostra strategia...
PRESIDENTE. Deve concludere.
STEFANO STEFANI. Concludo, signor Presidente. Credo che si possa pensare ad una matrice fondamentalista che si richiama ad Al-Qaeda. La difficile situazione dell'Afghanistan è una delle componenti e - guarda caso - proprio in queste ore ci informano di un attacco suicida nei pressi dell'ambasciata americana in Afghanistan: credo che non sia un caso. Purtroppo sembra di rivivere, amici e colleghi, le ore drammatiche dell'11 settembre 2001 (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, cari colleghi, anche noi ci uniamo al dolore della famiglia De Lorenzo e anche noi invitiamo il Governo, con la sua unità di crisi, a lavorare sempre più celermente affinché i sette italiani ancora nelle mani dei rapitori, o comunque segregatati in uno degli hotel, possano ritornare presto non solo nella disponibilità della loro libertà ma anche all'affetto delle proprie famiglie.
Non è questo il momento per fare grandi analisi di geopolitica, ma forse è bene che noi contribuiamo a dare una qualche memoria storica. Più di un anno fa in Pakistan si andava alle elezioni presidenziali ed uno dei candidati, anzi la candidata che tutti davano per vincente, fu uccisa, e l'attuale Presidente del Pakistan è il marito di quella candidata. A distanza di dodici mesi in India in cinque Stati si vota, e non è assolutamente escluso - ieri sera eravamo con il collega Gozi ad un incontro con l'ambasciatore indiano quando sono arrivate queste notizie - che nei prossimi mesi, oltre ai cinque Stati i cui organi si vanno a rinnovare nel mese di dicembre, vi possano essere addirittura le elezioni politiche per tutta la democrazia indiana. Questo è un altro elemento che ci deve far riflettere sul salto di qualità del terrorismo di matrice fondamentalista islamica. Penso - lo dico senza pudore - che l'attentato di un anno fa in Pakistan e gli attentati che si stanno susseguendo ormai frequentemente, purtroppo, in India, ci facciano capire che il terrorismo islamico, follemente, immagina di poter conquistare una democrazia che abbia in suo possesso l'arma nucleare.
Dico anche di più. Il collega Stefani si diceva prima inquietato e preoccupato dal fatto che l'attentato di Mumbai possa essere stato portato dal mare. Ricordiamoci che negli ultimi mesi l'Occidente ha chiuso gli occhi colpevolmente, e spero - anche se non è questo l'argomento della discussione di oggi - che il nostro comandante delle forze NATO che controlla il Corno d'Africa, invece di parlare ai giornali, cominci anche ad usare le armi che sono state messe a disposizione delle navi che proteggono i commerci.
Va ricordato che uno dei punti fondamentali dei commerci internazionali oggi è in pericolo, tant'è che molte imbarcazioni commerciali stanno immaginando di fare la vecchia rotta di circumnavigazione dell'Africa, tornando indietro di 500 anni. Mi sembra un fatto di cui dobbiamo essere consapevoli se vogliamo affrontare il problema del terrorismo. Va ricordato inoltre - si è già detto dell'incontro NATO che si terrà tra qualche giorno - che il nostro Governo e i Governi dell'Europa occidentale hanno colpevolmente dimenticato gli appelli che il Segretario generale della NATO ha rivolto negli ultimi diciotto mesi, in particolare quello per mandare più uomini in Afghanistan.
Immagino che tutto quello che abbiamo ascoltato oggi porti poi ad un voto favorevole, dopo che la riunione della NATO che si terrà fra qualche giorno e quella soprattutto che si terrà nel mese di gennaio, con il consenso della Presidenza americana (che sarà non di Bush, ma di Obama), chiederanno ancora all'Italia per l'ennesima volta di inviare altri 1.000-1.500 uomini. Infatti, parlare di terrorismo, del pericolo globalizzato, dell'insicurezza e del dispiacere che ognuno di noi sente e prova e non fare alcuna azione che vada incontro a quello che tutti i Paesi riconoscono come il punto cruciale di una sconfitta di Al-Qaeda, che è appunto l'Afghanistan, significa fare bei discorsi, assolutamente onorevoli, meritori anche di grandi applausi, ma che non risolvono alcun tipo di problema, neanche si avvicinano alla soluzione del problema.
La tragedia che è accaduta in India in questi giorni ha un precedente chiaro negli attentati in India ed ha un precedente chiaro nel tentativo di modificare l'esito delle urne nelle elezioni del Pakistan di un anno e mezzo fa. Vi è un problema di controllo del territorio, che riguarda certo l'Afghanistan e la solidarietà che dobbiamo dare alla prossima azione NATO che ci verrà chiesta, ma che riguarda anche la responsabilità, direttamente sotto la guida italiana, dei mari e delle rotte commerciali.
Concludo ribadendo tutta la nostra solidarietà al popolo indiano e alla famiglia De Lorenzo e la nostra vicinanza anche all'azione del Governo per portare in salvo questi sette nostri concittadini (Applausi dei deputati del gruppo Unione di centro e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

Il dibattito alla Camera sui fatti di Mumbai [1]

Di seguito gli interventi di Marco Zacchera e Piero Fassino.
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, nell'immediatezza dei fatti e dopo le parole del sottosegretario, penso che, prima di fare considerazioni politiche, bisogna seriamente essere vicini ai caduti e alle famiglie e ai loro congiunti, in particolare alla famiglia De Lorenzo, nell'angosciata speranza di avere la settimana ventura dal Governo notizie più positive sui sette italiani ancora nelle mani dei terroristi.
È difficile aggiungere altre parole, quando avvengono questi fatti, sebbene il nostro ruolo qui ci imponga di assumere anche delle prese di posizione di carattere politico.
Prima di venire al dettaglio, faccio presente e collego la notizia dell'attentato di oggi a quanto abbiamo letto ieri sui giornali, cioè che l'FBI ha annunciato la possibilità di attentati terroristici a New York proprio durante le vacanze di Natale.
Augurandoci, ovviamente, che non avvengano e che, in ogni caso, vengano sventati prima, sottolineo che, allora, c'è una continuità. Sgombriamo subito le nuvole davanti a certe frasi che sono state dette anche nei mesi scorsi: non è una montatura di Bush, evidentemente, o di qualche suo amico o di qualche altro governante occidentale; questa è una guerra globale.
Troppe volte siamo abituati dal numero crudo delle cifre a dimenticarcelo: una parte di islamici estremisti, che non hanno nulla a che vedere con centinaia di milioni di islamici, porta avanti una guerra che non è più solo all'Occidente, ma a tutto il mondo occidentale e a tutto il mondo normale.
Tra l'altro, sono stato qualche tempo fa proprio in quell'albergo. Mumbai è la porta dell'Occidente, gateway of India. È veramente la città dove si respira un'atmosfera multiculturale e multireligiosa.
Ricordo la bellissima scena del film su Gandhi, quando Gandhi dice, su una delle spiagge di quello Stato: il mio insegnante indù mi faceva passare ogni giorno da una lettura del Corano ad un brano del Vangelo, ad una preghiera indù. Questa è tolleranza! Purtroppo, l'India sta diventando non più così. Il sottosegretario ha ricordato quelle che sono state in questi anni, in questi tempi recenti le vittime del terrorismo: oltre 600 persone sono morte in India negli ultimi mesi per atti di terrorismo, con un progressivo aumento di livello del terrore, sia da parte islamica sia da parte indù, non dobbiamo dimenticarlo. 57 cristiani sono stati uccisi in India negli ultimi quattro mesi, 18 mila persone ferite, 50 mila senzatetto, 300 villaggi attaccati, 149 moschee distrutte; e non ci sono nell'area importanti comunità ebree, perché, altrimenti, penso che sarebbe andata anche peggio. Eppure, ricordo l'India come una nazione con città, per esempio Mumbai, dove sono celebrati i più diversi riti religiosi. La religione non è contro l'uomo; sono solo i pazzi che trasferiscono la religione contro l'uomo. Dobbiamo dare una risposta complessiva: dobbiamo renderci conto di questo, senza fare demagogia né nel senso di una criminalizzazione né in quello, come sovente vedo commentare simili avvenimenti dalle nostre parti, di cancellazione dei fatti. Purtroppo, tra centinaia di migliaia di islamici che arrivano ci possono essere anche dei terroristi, e basta un solo terrorista per fare cose come quelle che sono accadute a Mumbai ieri sera; e in questo caso invece abbiamo visto una cosa più molto più organizzata, e che assolutamente mi preoccupa di più.
Concludendo, penso che non dobbiamo oggi alzare il livello della polemica con nessuno, ma renderci conto che sempre di più la nostra vita è minacciata da questi fatti. I Paesi che ritengono di non andare avanti nella spirale della violenza devono però essere forti, per cercare di chiudere ogni spazio al terrorismo, imporre dei controlli internazionali forti, non abbassare la guardia, non chiudersi in se stessi, ma unirsi nella lotta contro il terrorismo, per la quale vanno spesi anche dei soldi, perché sono destinati alla sicurezza di tutti.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARCO ZACCHERA. E ricordiamoci anche che vi sono persone che dicono queste cose da tanti anni: è però facile, come oggi, dover ricordare i morti, ma quando non si è fatto magari di tutto, anche da parte di alcuni governanti indiani o occidentali, purtroppo, quello che sommessamente resta è solo il ricordo delle vittime.,Con l'augurio, e concludo, che gli italiani vengano presto liberati, esprimo vicinanza alla famiglia De Lorenzo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Signor Presidente, ringrazio naturalmente il Governo per la tempestività dell'informazione. Credo che, in primo luogo, tutti sentiamo il dovere di esprimere vicinanza, solidarietà, amicizia in primo luogo alla famiglia della vittima, alla famiglia De Lorenzo, così come solidarietà e vicinanza a coloro che ancora sono in una condizione di ostaggio, e naturalmente solidarietà, vicinanza e amicizia all'India, al suo Governo, alle sue istituzioni, al suo popolo.
Chiunque di fronte ad un attentato di queste dimensioni, con queste terribili conseguenze su tante persone inermi non può che provare un sentimento di sgomento, di angoscia e anche di impotenza: si tratta di un terrorismo che, come ormai abbiamo visto in questi anni, punta ogni volta all'effetto più devastante. Abbiamo conosciuto in Italia, in altri anni, la drammatica stagione del terrorismo, ma di un terrorismo che agiva secondo la strategia opposta a quella che abbiamo visto in questi anni. Il terrorismo che abbiamo conosciuto in Italia e in altri Paesi europei era un terrorismo che sceglieva delle vittime che avevano un valore simbolico e le colpiva addirittura con l'obiettivo di isolarle dalla società: il carabiniere, il poliziotto, il dirigente di impresa, l'avvocato, il sindacalista. Il terrorismo internazionale degli ultimi anni ha una strategia ancora più devastante, se così si può dire, perché ha scelto la strategia opposta, che è quella non di puntare alla vittima mirata, ma di produrre un'azione terroristica in modo indifferenziato, in ragione tale che ognuno si senta potenzialmente possibile vittima, e quindi l'effetto di paura, di intimidazione, di terrore sia anche più grande.
Quando si colpiscono sette alberghi contemporaneamente e si produce appunto un attentato che porta a 120 vittime più tutti i feriti con quella potenza devastatrice che queste cifre terribili e feroci ci dicono, si può ben comprendere qual è l'intento di intimidazione drammatica e di terrore che chi ha pensato questi attentati persegue.
Proprio per questo, penso che lo sgomento e l'angoscia non possano, però, tradursi in rassegnazione o in passività; al contrario, direi che quanto più gli attentati diventano devastanti, tanto più dobbiamo essere consapevoli della necessità di mettere in campo una reazione adeguata, perché difendere la vita, difendere la convivenza civile, difendere la possibilità per ogni persona di guardare alla vita quotidiana propria e della propria famiglia senza paura, senza angoscia e senza ansia è la condizione prima per garantire al mondo quelle fondamentali condizioni di convivenza, di libertà e di tolleranza che sono necessarie affinché ogni nazione ed ogni comunità possano affrontare adeguatamente i propri problemi e governare meglio il proprio destino.
Non c'è dubbio che questo attentato è tanto più grave perché avviene in un grande Paese che è simbolo - ne abbiamo parlato prima - di quella globalizzazione economica, sociale, culturale e politica che rende il mondo sempre più interdipendente.
E, probabilmente, negli intenti di coloro che hanno pensato questi attentati così devastanti vi era anche, in qualche modo, l'idea che, uccidendo, si possa contestare, frenare, arrestare un processo quale è quello della globalizzazione che, puntando sempre di più a rendere interdipendente il mondo, supera barriere, abbatte muri, determina quella reciproca contaminazione culturale, religiosa e identitaria che è necessaria perché il mondo della globalizzazione sia un mondo fondato sulla tolleranza e non sul fanatismo e sull'integralismo.
PRESIDENTE. Onorevole Fassino, la invito a concludere.
PIERO FASSINO. Anche per questo abbiamo il dovere, penso, di reagire e di reagire adeguatamente, così come non sfugge a nessuno - e concludo - che questo attentato colpisce un Paese che si colloca in un'area interessata da altri grandi focolai di instabilità e di insicurezza quali sono il Pakistan, l'Afghanistan e l'area che si estende attorno al Golfo Persico con tutto ciò che in termini di incertezza, di insicurezza, di instabilità e di rischi quell'area vive ogni giorno.
Anche per questo penso che dobbiamo essere sollecitati non solo ad un'iniziativa della comunità internazionale adeguata nella lotta al terrorismo, ma a perseguire anche, in quell'area, una soluzione a quei conflitti che possa ridurre il livello di tensione dentro cui l'azione terroristica può nuotare come il pesce nuota nell'acqua.
Per tali ragioni, ovviamente chiediamo al Governo di agire in tutte le sedi e sosterremo ogni iniziativa che il nostro Governo assumerà sia in sede di G8, sia in sede NATO, sia nelle altre sedi internazionali, volta a rafforzare l'iniziativa nei confronti del terrorismo, così come sosterremo ogni iniziativa che renda chiara ed esplicita la solidarietà ed il sostegno del nostro Paese all'India, colpita in questo momento da un lutto così drammatico.
Va da sé che fa parte di questa sollecitazione e del nostro sostegno all'azione del Governo anche la richiesta che coloro che sono stati vittime di questi attentati non siano lasciati soli ma sentano il sostegno, l'appoggio e la solidarietà dell'intero nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori e di deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

I fatti di Mumbai raccontati e commentati dal sottosegretario Scotti

A mente fredda parliamo dell’attacco terroristico di Mumbai. Comincio col riportare il testo stenografico della Camera dei Deputati, relativo all’informativa urgente del Governo, svolta alle 13,25, sui tragici eventi che erano in corso ieri in India.

PRESIDENTE. Come già anticipato questa mattina, avrà ora luogo lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sui tragici eventi in corso in India.
Avverto che, dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Enzo Scotti.
ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, signori deputati, la capitale economica dell'India Mumbai è stata ieri sera oggetto di una serie di sanguinosi attentati terroristici diretti in particolare contro gli stranieri. Il bilancio delle vittime, secondo le ultime notizie, sarebbe di oltre cento morti e quasi trecento feriti. Signor Presidente, il Primo ministro indiano Singh è intervenuto in queste ore, parlando alla nazione.
La violenza terrorista ha colpito principalmente due alberghi della città in cui risiedevano numerosi stranieri. Negli hotel Trident e Oberoi risulterebbero ancora asserragliati sette italiani. Il secondo albergo oggetto degli attacchi, il Taj, risulta essere stato evacuato e un funzionario della Farnesina è riuscito ad entrarvi al seguito delle forze di polizia indiane. Quaranta connazionali sono ora ospitati dal console generale italiano a Mumbai. Gli italiani a Mumbai ammontano complessivamente a 330, secondo le autorità consolari che stanno contattando tutti per le necessarie precauzioni.
Il Ministro Frattini, attraverso l'Unità di crisi della Farnesina e in stretto raccordo con la rete diplomatico consolare in India, ha seguito fin da ieri sera e continua a monitorare momento per momento la situazione a Mumbai e le operazioni ancora in corso da parte delle forze speciali indiane, tenendosi in contatto con i nostri connazionali e seguendo l'evolversi degli avvenimenti che li vedono ancora coinvolti.
Purtroppo, al termine di complessi accertamenti, in una situazione che rimane molto tesa, l'Unità di crisi ha confermato il decesso di un nostro connazionale, il signor Antonio De Lorenzo. Il Presidente del Consiglio Berlusconi e il Ministro degli affari esteri Frattini, hanno espresso, a nome dell'intero Governo italiano, il profondo cordoglio e la vicinanza ai familiari, formulando al tempo stesso la più netta e ferma condanna di questi esecrabili atti terroristici. La stessa forte condanna è stata unanimemente espressa dall'intera comunità internazionale.
Gli attacchi sono stati rivendicati dai Mujahideen del Deccan, gruppo estremista islamico finora sconosciuto. La tipologia, l'organizzazione meticolosa messa in campo e le modalità operative di questi atti terroristici sembrano rendere altamente probabile che dietro gli stessi vi possa essere la mano di Al Qaeda.
Naturalmente, si renderà necessaria nei prossimi giorni un'analisi più approfondita sugli avvenimenti che ieri sera hanno preso di mira la capitale economica e finanziaria dell'India.
La storia recente ci ricorda purtroppo come Mumbai non sia nuova ad attacchi sanguinosi ed indiscriminati (eclatanti quelli del luglio 2006, con circa 180 morti sui treni dei pendolari), ma anche come dall'inizio dell'anno si sia raggiunta la cifra di circa 800 vittime civili del terrorismo nel Paese (oltre duemila, se si includono forze dell'ordine e gli stessi terroristi).
Negli scorsi maggio e luglio si erano rispettivamente avuti oltre sessanta e quaranta morti, a Jaipur ed Ahmedabad, mentre venti erano state a settembre le vittime di un attacco in un centrale mercato di Nuova Delhi.
Se si considera, poi, anche l'attentato di Kabul del 7 luglio contro l'ambasciata indiana, oltre 40 morti, è evidente come l'India sia sempre più nel mirino delle organizzazioni terroristiche.
Gli attentati colpiscono di preferenza affollati centri urbani, caratterizzati dalla presenza di grandi minoranze islamiche e di forti tensioni tra queste ultime ed i bracci politici del fondamentalismo induista.
La materia è già da mesi al centro del dibattito politico interno indiano. Il Partito del Congresso al potere è già da mesi sotto forte pressione da parte dell'opposizione nazionalista. Tale tema è destinato ad influenzare anche la campagna elettorale, già in corso per cinque importanti Stati che si recano alle urne da qui a dicembre.
Tra i vari interrogativi che gli attentati di Mumbai pongono, evidentemente amplificati dallo studiato coinvolgimento di cittadini stranieri ed occidentali, vi è quello delle possibili ricadute sul più ampio contesto regionale.
È auspicabile che il clima di relativa distensione aperto con il Pakistan e fra Pakistan e Afghanistan negli ultimi mesi, anche a seguito dell'elezione di Zardari, non subisca contraccolpi.
I due Paesi sono, infatti, consapevoli della necessità di continuare il loro dialogo composito, la cui interruzione sarebbe, per i terroristi, un'indiscutibile vittoria.
Gli attentati confermano, come sottolineato dal Ministro degli affari esteri Frattini, la necessità che la comunità internazionale mantenga alta la guardia contro questi atti di intollerabile violenza contro popolazioni inermi.
La lotta contro il terrorismo, come lo stesso Presidente della Repubblica, in visita di Stato in Israele, ha affermato stamani, si conferma come un obiettivo prioritario e vitale per tutta la comunità internazionale. Come ha ricordato il Ministro Frattini, la prima occasione per una risposta sarà la riunione dei Ministri degli esteri della NATO, già in calendario per martedì prossimo.
La lotta contro il terrorismo sarà, inoltre, un tema prioritario, come abbiamo visto nel dibattito che si è chiuso con la votazione delle mozioni, da affrontare anche in seno al G8, così come fortemente auspicato dall'Italia, anche attraverso il dialogo e la cooperazione con gli altri Paesi colpiti dal fenomeno, a cominciare dalla stessa India, in una regione di fondamentale importanza strategica per gli equilibri globali (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Unione di Centro).

A Brembio nevica



Ho messo fuori il naso, pardon, l'obiettivo della macchina fotografica, come hanno fatto i miei gatti, solo un passo fuori dalla porta del cortile. Queste le immagini di venti minuti fa raccolte intorno.


E dalla finestra dello studio vedo che continua a nevicare.

Eugenio Lombardo "Nel cuore del Lodigiano - Cascine di famiglie"



giovedì 27 novembre 2008

La Russa spiega An nel Pdl

Da “Il Secolo d’Italia” di oggi riprendo questo articolo di Alfredo Borgorosso: “«Nel Pdl ci si nostri uomini e la nostra bandiera». La russa: il 14 e 15 marzo il congresso fondativo del partito unico”.

Nel processo di costruzione del nuovo partito «non sarà necessario rinunciare nemmeno a un briciolo della nostra storia e della nostra identità. Ci saranno le nostre idee e i nostri uomini. E sarà il completamento di quel sogno politico che coltiviamo da quando avevamo i calzoncini corti, perché potremo contaminare la società con i nostri valori di destra, senza ammainare nessuna bandiera». È questo il passaggio più sentito della relazione di Ignazio La Russa, reggente nazionale di Alleanza nazionale, nella riunione organizzativa congiunta tra esecutivo nazionale e presidenti provinciali a porte chiuse, svoltasi ieri in tarda mattinata al “Plaza”, per condividere i prossimi passaggi verso il nuovo Popolo della libertà.
«Il congresso costitutivo sarà il 13 e 14 marzo spiega il ministro della Difesa - e vedrà riuniti nel consesso ben seimila delegati». I numeri sono già decisi: i delegati di An saranno 1800, mentre quelli provenienti da Forza Italia e dagli altri movimenti che si riconoscono nel progetto saranno 4200. Insomma la destra non dovrà farsi carico nella sua rappresentanza delle pretese mosse dagli altri soggetti fondatori. Per la destra «millecinquecento congressisti - prosegue - parteciperanno di diritto, mentre trecento saranno scelti con una consultazione popolare nei gazebo del Pdl, il 14 ed il 21 dicembre prossimi». Saranno allestiti ben diecimila punti di raccolta dove potranno scegliere la nuova classe dirigente anche semplici sostenitori del progetto, senza nessuna tessera dei partiti costituenti, cioè di Alleanza nazionale e Forza Italia.
L’orientamento è quello di favorire la presenza di personalità di rilievo provenienti dalla “area vasta” della società civile. «Dei trecento - ha specificato il reggente - cento figure di ampio respiro delle professioni e della cultura saranno indicati dalle federazioni provinciali, cento dalle città capoluogo e cento dagli organi centrali. È una scelta etica e politica. In ogni caso le liste dei delegati saranno vidimate da me e da Denis Verdini». Alla base militante e alla classe dirigente è richiesto un grande ed efficace sforzo organizzativo: «Saremo presenti in ben diecimila piazze d’Italia e in quella sede sarà anche distribuito il giornale Il Popolo della libertà», che sarà curato dalla redazione del Secolo d’Italia. «Si potrà votare anche una piattaforma programmatica diversificata tra Nord, Centro e Sud», aggiunge La Russa, secondo cui la classe dirigente di An, partecipe passo dopo passo dell’iter congressuale, ha manifestato coesione: «Mi sono consultato con tutti i componenti del comitato di reggenza - ha sottolineato La Russa - e anche più in alto nell’area istituzionale... C’è stata sempre piena condivisione di questo passaggio intermedio, che non è il tramonto di An».
Non ci sarà la possibilità di ricalcare nel Pdl una versione di destra del veltroniano "ma-anchismo", con un approccio tentennante e confuso. «Chi aderirà dovrà farlo - ha spiegato - senza riserve. Nessuna adesione condizionata, ma un pieno riconoscimento nella piattaforma programmatica».
E la data dell’ultimo congresso del partito «sarà scelta dalla Direzione nazionale, che voterà su luogo, data e regolamento congressuale. I tempi? Ci sono due opzioni sul tavolo: in ogni caso tra il primo e il 13 marzo».
Sull’eventualità che nel nuovo movimento possano essere riprodotte anche dalla destra schemi legati ad una vecchia politica, il reggente di An è stato netto: «Sarebbe assurdo - rimarca ancora - riproporre vecchie opzioni o film già visti. Non ci sarà da parte di questa dirigenza nessuna sponda per comportamenti “vetero-correntisti”. Bisognerà evitare piccoli o grandi conflitti, con la consapevolezza che nel nuovo soggetto, già premiato dal voto degli elettori alle ultime politiche di aprile, non entreremo sacrificando la nostra identità o i punti fermi del nostro impegno politico». La Russa sul piano dei contenuti lancia una sfida a tutto campo, diversificando e arricchendo gli scenari con contenuti legati ai territori. «Nel settentrione riaffermeremo di fronte alle emergenze percepite dai cittadini, le nostre proposte sulla sicurezza, tema che non si può lasciare solo alla Lega, con la quale resta l’amicizia di fondo. Il Pdl declinerà le proprie soluzioni unendo il prevalente rigore nella gestione dell’ordine pubblico con una grande attenzione per i diritti civili, l’accoglienza e l’integrazione dei regolari e la libertà di culto. Quando i leghisti polemizzavano con i terroni del Sud, noi già allora evidenziavamo l’importanza della sicurezza nelle periferie. Al centro e al sud saranno preparate proposte legate a specificità territoriali».
Nel corso della relazione c`è stato anche un passaggio nel quale è stata espressa piena soddisfazione per l’azione del governo: «La destra di governo è stata incisiva. Da ministro della Difesa - ha sottolineato con forza - invece di limitare il raggio d’azione ai conti delle imprese committenti o ad aspetti burocratici, abbiamo portato a termine una autentica battaglia culturale, restituendo dignità al rapporto tra le Forze armate e la cittadinanza. I pattugliamenti dei nostri militari per le strade hanno aumentato la percezione diffusa della sicurezza e del ripristino della legalità. Il programma del governo nel suo complesso lo stiamo realizzando in tempi stretti, e stiamo fronteggiando con efficacia una crisi economica che viene da Oltreoceano». All’opposizione del Pd un messaggio di rammarico. «Avremmo voluto - ha rincarato il ministro - avere di fronte un interlocutore affidabile. Invece le cose stanno in maniera diversa: assistiamo quotidianamente ad una diaspora nella quale si scontrano tutti contro tutti. Le querelle recenti che hanno infiammato l’agone politico, quelle sulla Consulta e sulla Vigilanza Rai sono indicative: noi abbiamo fatto un passo indietro rinunciando alla candidatura di Gaetano Pecorella, loro hanno insistito sul nome dell’esponente dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando... Poi c’è stata l’elezione del senatore Villari, con il voto di una parte dell’opposizione».
Infine la stoccata: «Sono loro, quelli del Pd, a dover adesso sbrogliare la matassa, nata da lotte intestine interne al partito di Veltroni. E di sicuro noi non modificheremo nemmeno di un centimetro il nostro approccio dialogante e costruttivo su grandi questioni della politica». Rispetto ai rapporti con i co-fondatori del movimento, La Russa ha rivelato divertito un retroscena, che spiega più di tante formule politiche come si possano cancellare le occasioni di divisioni o possibili fraintendimenti. Il pragmatismo, prima di tutto. «Fino alla Festa nazionale del 4 Novembre con gli amici di Forza Italia non c’è stata nemmeno una telefonata. Poi la situazione l’abbiamo sbloccata con una “larussata”. Con i parlamentari Carmelo Briguglio e Marco Martinelli, insieme anche a Rita Fantozzi, ci siamo trasferiti nella sede di Forza Italia in via dell’Umiltà. Non chiamatela “occupazione”, ma abbiamo adesso tre o quattro stanze e abbiamo considerevolmente ridotto le distanze e i prevedibili ritardi nella convocazione di riunioni per sciogliere i nodi organizzativi. Così abbiamo concretizzato più negli ultimi sette giorni di coabitazione che negli ultimi sette mesi».
Poi ha rilanciato la sfida alla classe dirigente dei An, rassicurando i più tiepidi o timidi rispetto al nuovo progetto: «Non abbiamo nulla da perdere - ha insistito - e alla prova dei fatti e del lavoro può emergere la nostra qualità politica e le nostre indiscusse capacità organizzative. Su temi come immigrazione, economia, lavoro la presenza della destra nel governo è stata caratterizzante degli orientamenti culturali assunti poi dai provvedimenti dell’esecutivo» Concetto rafforzato da una metafora calcistica: «Nel nuovo partito la nostra classe dirigente non soccomberà - e citando l’allenatore portoghese dell’Inter - devo prendere in prestito un concetto espresso dal tecnico Mourinho: noi non siamo la migliore dirigenza del mondo, ma in giro non ci sono esponenti politici più bravi di noi...». Nell’incontro sono stati prefigurati alcuni dettagli organizzativi: «I consiglieri regionali, provinciali e comunali, anche se non eletti è stato sintetizzato - potranno partecipare ai lavori del nuovo congresso con diritto di parola ma non di voto».

Silvio e la memoria corta della sinistra

«Il “dittatore” salva-democrazia» titola oggi un pezzo su “Libero” di Gianluigi Paragone. Sottotitolo: «L’idea del premier tiranno non ha senso: proprio lui che ha reinventato la Repubblica...».

Allora abbiamo sprecato solo tempo, inchiostro e videocassette. Per quindici anni non abbiamo parlato altro che di “berlusconismo” e ora qualcuno ci dice che corriamo il rischio del “cesarismo”? Ohilà, qualcosa non torna.
Detto sotto voce e col massimo rispetto per il presidente della Camera, a me sembra che in Italia più che un “Caesar” ci sia il “Silvius”. Il Silvius anestetizza il Caesar, ne demolisce la parte negativa e ne esalta le doti migliori.
Con la discesa in campo Berlusconi ha sparigliato i giochi, nel senso che ha riempito a suo modo ciò che fino a prima era solo una idea o un contenitore, ovvero la Seconda repubblica. L’Italia non corre il rischio di una deriva cesarista, né dentro i partiti né - a maggior ragione - dentro le Istituzioni. Se così non fosse avrebbe ragione la sinistra quando parla di dittature più o meno dolci o di regimi striscianti. Non è così e Fini lo sa bene. Pertanto sono certo che il presidente della Camera non volesse condurre la sua riflessione sotto la sede di Forza Italia o sotto il portone di Palazzo Grazioli.
Come potrebbe farlo proprio colui che beneficiò del famoso endorsement del Cavaliere? Era il 1993 e in quel di Casalecchio di Reno Silvio appoggiò l’allora segretario del Movimento sociale nella corsa contro Rutelli a sindaco di Roma. La storia cominciò così.
Arriva lo sconquasso
L’anno dopo, nel ’94, Silvio scese in campo e divenne Silvius. Sdoganò la destra e “doganò” la Lega Nord di Bossi. Resuscitò il comunismo non come dogma o ideologia, ma come una idea, brutta. Ma prima ancora, Silvius si inventò un partito, liberale e democristiano, repubblicano e socialista, cattolico e laico, e forse parecchio altro ancora. Tanto, in quel contenitore fantasticamente chiamato Forza Italia, non era l’ideologia a contare. Era lui. Era Silvio. Era Silvius.
Per fare quella roba lì sconquassò il mondo intero, già di per sé in subbuglio per quel cataclisma giudiziario che fu Mani Pulite e per quell’euforia di cambiamento cominciata con il Senatur e Mariotto Segni.
Insomma, era già tutto pronto per l’epifania berlusconiana. I127 e 28 marzo 1994, l’Italia sceglieva di entrare nel berlusconismo. Montanelli era convinto che se ne sarebbe liberata poco dopo - «Basta provarlo» -, non fu così. Tant’è che siamo ancora lì dentro.
L’Italia di destra e l’Italia di sinistra sono dentro, mani e piedi, nel fantastico mondo di Silvius. Quello dove il partito di plastica ieri denigrato oggi è il modello per tutti. Cos’è infatti il Partito democratico se non un partito di plastica? E cos’era quell’Arcobaleno sotto le cui insegne si unirono recentemente i partiti della sinistra radicale, da Rifondazione ai Verdi? Un partito di plastica, appunto. Tant’è che perde le elezioni ma vince in un reality show ed esulta: Luxuria come Obama. Auguri.
Sua Emittenza Silvius ha contagiato anche i compagni; loro che credevano di essere immuni, vaccinati. Macché. Veltroni e tutti gli altri lo avrebbero dovuto capire già nel ’95 quando la sinistra sognava di spezzare le reni alle tv del Berlusca con due referendum contro la pubblicità. “Non si interrompe un film, non si spezza un’emozione” gridavano scandalizzati registi di grido e dirigenti del Pds. Finì che pure i compagni votarono no, difendendo la tv commerciale. E finì pure che quei registi lavorano con Medusa, la società di produzione griffata Fininvest.
Accadeva tredici anni fa. Solo che la sinistra ha la memoria corta. E continua a farsi male. Non c’è bisogno di essere Caesar se l’opposizione fa tutto da sé. La sinistra si è accartocciata da sola, inciampando nel rincorrere l’antiberlusconismo. Mentre in Europa i riformisti sfornavano un leader come Tony Blair e in America un certo Bill Clinton, in Italia la sinistra s’ammucchiava nella gioiosa macchina da guerra e poi nell’Ulivo e poi ancora nell’Unione. L’importante non era dare un senso politico alle cose, ma era battere Silvio. L’ha fatto e poi è rimasta col cerino in mano.
Stessa musica
Se dunque Berlusconi ha portato a spasso la sinistra, figuratevi cosa ha fatto con la destra. Con la Lega, dopo che tra lui e Bossi volarono le peggiori parole possibili e immaginabili, il dialogo è zucchero, è miele. Con Alleanza Nazionale era talmente un tutt’uno che non si capiva più dove finisse Forza Italia e cominciasse An; così per semplificare le cose si sono fusi nel Popolo della Libertà. Berlusconi leader.
Silvio come Caesar? Come un dittatorello sudamericano? Per favore. Qualche volta sarà un bauscia, sarà un testone, sarà quel che volete, ma come dittatore vien bene solo sulle vignette. Ogni tanto però qualcuno mette su il disco e lascia suonar la musica, nella speranza che altri sì accodino. Poi si svuota l’urna elettorale e si scopre che quel ragazzaccio piglia un sacco di voti perché ci sa fare.
Chissà se prima o poi lo si vorrà ammettere senza far troppe storie.

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